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FIR E DINTORNI

E’ LA FIR CHE DEVE “CAMBIARE PARADIGMA” PER PRIMA. NON I CLUB.

A tanti nostri dirigenti FIR piace, quando gli è utile, rilanciare i confronti con le altre Union per dirci quanto gli altri sono forti e grandi e ricchi, piace loro marcare la distanza per dirci che noi siamo bravi e facciamo quello che possiamo. E’ vero?

Il difficile periodo che viviamo amplifica uno di questi paragoni, e allora vediamo se è proprio come si dice qui sopra: andiamo in Galles.

Il Presidente della federazione gallese (WRU) Gareth Davies, come si legge sul “The Daily Telegraph“, ha invitato i club di base del Galles a smettere di pagare i giocatori per ritornare ad un pieno status amatoriale.

L’appello è stato lanciato ai club al di sotto del massimo campionato interno gallese (Principality Premiership) ed è stato così spiegato da Davies:”Per l’Alto Livello del nostro gioco diciamo tutti che questa è una grande opportunità per ricalibrare il calendario globale, ma è anche una grande opportunità per il gioco di base di tornare alle proprie radici“.

Insomma i dirigenti della WRU hanno studiato una potenziale strategia. Ecco subito una differenza fra il nostro rugby ed il loro: si chiama qualità, a quanto pare però non è quella che va in campo il nostro primo problema. Ma andiamo avanti.

Perchè Davies dice ancora di più riguardo il pagare i giocatori nel rugby di base”: ..tutto quello che si fa così è sottrarre i fondi necessari alla creazione della squadra di mini-rugby o di una squadra femminile o la possibilità di portarli in tournèe ogni anno“.

Sentendo queste parole molti potrebbero insorgere e dire “facciamolo anche in Italia!”. Ma siamo sicuri che la cosa servirebbe a risollevare il movimento? Vediamo alcune differenze.

In questo momento in Italia nessuno dei nostri vertici ci racconta nulla, ligi al loro silenzio su qualsiasi cosa, blindatissimi nel palazzo i dirigenti federali non ci raccontano alcuna strategia. Quando arriverà una qualsiasi decisione piomberà dall’alto sulla testa dei Club come stava già accadendo per la “riforma” dei Comitati Regionali che stavano proprio in questi giorni per essere smontati, cosa che è venuta alla luce solo grazie ad uno scoop de Il Gazzettino. Insomma sembra ci sia una manciata di persone che decidono tutto del nostro rugby senza dire nulla a nessuno.

Prima di rilasciare quelle dichiarazioni invece il Presidente della WRU Gareth Davies ha fatto un sondaggio al quale hanno risposto dicendo la propria opinione 200 dei 300 club gallesi. Poi ha fatto queste proposte a tutto il suo movimento ovale a mezzo stampa ed ora in quel paese c’è un dibattito aperto sulla questione. Tutta un’altra storia.

Inoltre la FIR in Italia non può chiedere nulla al rugby di base, perchè non se ne occupa da tanti anni. Sul piano dei giovani la FIR ha messo in piedi in questi ultimi dieci anni un controllo verticistico che passa per il rastrellamento di un centinaio di talenti dal territorio per farli confluire nelle proprie accademie e questo è quasi tutto Da anni il movimento è letteralmente abbandonato, solo pochi spiccioli dei 45 milioni del bilancio federale vanno ai club del rugby di base. I campionati, incluso il pur finanziato vertice del Top12 (2 milioni), sono lasciati a loro stessi.

La federazione gallese ha un bilancio sicuramente doppio di quello della nostra federazione ma, scrive il The Daily Telegraph, distribuisce circa 13,5 milioni di euro al “community rugby”, il rugby di base.

La FIR dovrebbe essere la prima a fare lo sforzo che altrove è richiesto ai club. Ad esempio il numero (anche in valore economico) di consulenti tecnici che la FIR gestisce a livello centrale è impressionate se si raffronta alle condizioni in cui sono lasciati i comitati regionali che lavorano con il rugby di base.

In sintesi, se dovessimo chiedere ai nostri club di non versare i magri rimborsi spese a certi giocatori sarebbe forse giusto, visto il periodo, ma la sostanza non cambierebbe di molto. Se si fanno i conti in tasca al movimento chi deve cambiare paradigma è prima di tutto la FIR non i nostri Club. A cominciare dalla trasparenza e dalla condivisione dei progetti.

Certo, per farlo ci vuole una strategia ed una qualità diffusa.

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