Ci si chiede da sempre come facciano i team “isolani” del Pacifico a reggere, in primis in termini economici, il sistema del rugby mondiale con le loro nazionali e, ogni volta che se ne parla, ne esce una spiegazione sempre molto bella fatta di nazionalismo isolano, di passione ed amore per il rugby, di tenacia e caparbietà caratteriale di tutti questi “
pacific-islanders“.
Fra tutti chi se la passa peggio, più per motivi politici interni che non per reali difficoltà generali, è senz’altro il mondo del rugby delle Fiji che da molto si dibatte in problemi economici non indifferenti e proprio oggi ne da approfondita notizia
Rubgy 1823 in questo post, i mondiali neozelandesi delle Fiji sono a rischio.
Il rugby è fatto di cuore, tanto, ma non sempre può bastare e, mentre
IRB si preoccupa della propagazione mondiale di questo sport,
uno sguardo andrebbe forse orientato a queste realtà, sia perchè prima di pensare ad allargare i confini bisogna assicurarsi che i propri siano saldi, sia perchè queste isole hanno un merito supplementare rispetto a quello generalmente riconducibile allo sport. Non negatelo, molti di voi sorridono per simpatia quando sentono parlare di Samoa, Tonga, Fiji, ma non solo per pura simpatia ma anche per il fascino che quelle isole ispirano ad ognuno, specialmente a noi europei: sono dei testimonial naturalistici del nostro sport !
L’IRB deve conitnuare a guardare con attenzione a questo immenso patrimonio rugbistico racchiuso in questo piccolo territorio e non si può far finta di non sapere quanto importante sia per noi europei quel vivaio isolano.
Le isole del Pacifico sono spesso descritte come dei paradisi e speriamo restino, a dispetto della congiuntura internazionale e della super-professionalizzazione del nostro sport, anche dei paradisi del rugby.
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