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FIR E DINTORNI

IL CASO ZEBRE A MILANO CI DIRA’ CHE… IL RUGBY VA DOVE C’E’ IL RUGBY

PREMIERSHIP

Quelli del Board del Pro12 nel lamentarsi a mezzo lettera protocollata, timbrata e leccata della nostra incapacità generale avrebbero poi anche esibito una serie di loro proposte e fra queste quella di trasferire una delle “franchigie”, forse l’unica che ci rimarrebbe dopo il 2020, in una grande città, segnalando Milano o Roma.

E’ così ritornato a galla il leit motiv del trasferire il rugby nelle grandi città, perchè è lì si che si può, che si fa, che si trova, che si vive, che si vede, che si cresce, che si ecc. ecc… . Detta dai celtici la cosa è davvero sconcertante ma andiamo avanti.

Insomma secondo gli strateghi del marketing di lassù, pur loro abituati alla bassa densità di vicini di casa, sarebbero le nostre grandi città il luogo del rugby, non in quanto città di rugby ma in quanto grandi. Ci sono anche molti italiani che la pensano così. Tutti dimenticano, ad esempio, che è stata proprio Calvisano, regina attuale del nostro rugby domestico, quella del paese di 8.500 abitanti, a salvare il rugby lombardo sostituendosi proprio alla boccheggiante Milano nella massima categoria del nostro sport.

Forse seguendo il sollecito del Pro12 proprio ieri il nostro Presidente federale Alfredo Gavazzi ha annunciato in conferenza stampa una esplorativa su Milano, un lavoro alacre per trasferire lassù le Zebre. Sia chiaro, l’eventuale trasferimento a Milano delle Zebre, visto come sono messe economicamente adesso ed il nulla da loro creato a Parma, è assolutamente corretto, se Milano ne ha allora si vada avanti.

E’ invece da queste parti considerato non corretto il ragionamento “grande è bello”, ovvero quella cosa che il rugby funziona se la città ospitante è molto popolata, è questo l’obiettivo di oggi.

Se fosse vero quello che chiedono i celtici, e pensano molti italici, nel nostro basket dovremmo chiudere o trasferire mezza Serie A, via dalla storica Pesaro (ab. 90.000), addio alla magica Cantù (ab. 40.000), chiudere Pistoia (ab. 90.000), poi Avellino (ab. 50.000) e Varese (ab. 80.000).

La pallavolo italiana gioca la sua Superlega anche a Civitanova (ab. 40.000 ) , Molfetta (ab. 60.000), Sora (ab. 26.000), Vibo Valentia (ab. 30.000) e finalmente anche a Latina (ab. 120.000).Lo sport va dove lo vogliono, dove ha una sua tradizione, dove trova un giusto appeal.

Il nostro vertice ovale gioca a Parma (ab. 190.000) e Treviso (ab. 85.000)e se non funziona in termini di pubblico o di sponsor non è la capienza dello stadio o il numero di abitanti della città il motivo. Facciamocene una ragione.

Così, tanto per imparare dai grandi, da queste parti si è costruita una tabella con i team della Premiership inglese, il nome di ogni stadio e, soprattutto, la sua capienza, la città di riferimento e la sua dimensione in termini di abitanti, la trovate in testa a questo pezzo. Siamo in Inghilterra la patria del rugby, un posto dove i giocatori di rugby sfiorano i 2 milioni, realtà diffusa, sport popolare. La capienza degli stadi, inserita nel contesto degli abitanti, la dice lunga su quale sia il punto di riferimento sportivo ed il livello di espansione del rugby inglese.

Portiamo pure le Zebre a Milano e poi magari la Benetton a Roma, Villorba e Noceto non chiudono mica i battenti, Oderzo e Valsugana continueranno ad esistere, Colorno e Parma RFC magari tireranno pure un sospiro di sollievo. Il rugby va dove c’è il rugby, quindi se ce n’è va anche a Milano, Roma, Torino, Napoli. Alla fine vince sempre il migliore, non il più “grande”.

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