E’ tutto vero, Sam Warburton ha detto basta, con il rugby si ferma qui; a soli 29 anni il 49 volte capitano del Galles che con la sua nazionale ha corso per ben 74 caps, che ha avuto l’onore di vestire 5 volte la maglia British & Irish Lions, che ha giocato già due coppe del mondo e vinto un Sei Nazioni con Grande Slam, ha detto stop.
Questa cosa da queste parti ha toccato, anzi di più.
Perchè i giocatori che dicono addio ed attaccano gli scarpini al chiodo sono ogni anno molti, oggi come oggi la cosa è quasi sempre accompagnata da un comunicato stampa quasi ogni settimana si ha nome più o meno celebre che dice basta, però questa cosa di Warburton ha toccato di più.
Perchè Sam Warburton ha solo 29 anni, perchè è l’ennesimo che non si ritira per raggiunti livelli di vittorie o per raggiunti limiti di età ma bensì perchè il suo fisico dice basta, perchè sempre di più il ritiro di questo giovane campione del nostro rugby ha il sapore di uno sport che oggi come oggi chiede davvero troppo
“Purtroppo il mio fisico non può più supportarmi nell’attività agonistica” ha detto così Warburton che si stava sottoponendo a riabilitazione per recuperare l’ultimo infortunio al collo e che ha detto chiaramente non poter recuperare per poter rientrare serenamente nel rugby.
Il rugby chiede troppo, il rugby di questi ultimi anni è cambiato troppo, le nuove regole hanno scritto sull’Alto Livello un altro sport: impatti durissimi, schianti al posto di placcaggi, scontri al posto dei tentativi di infilarsi fra le linee, abbattimento dell’avversario al posto del suo superamento.
In certe partite, per fortuna ancora poche, sembra quasi che qualcuno si sia messo a disegnare i nuovi “munera gladiatoria“, dove lo stadio diventa un’arena di combattenti votati a chissà quale sacrificio fisico per far vedere… per vincere…. per far divertire… ah che brutta immagine. Però sempre di più questo rugby fatto di grandi e grossi che si scontrano raggiunge questa idea.
Sam Warburton dice basta a soli 29 anni perchè il rugby si è già preso tutto da lui e questa volta il saluto del grande campione colpisce davvero nel segno. Chissà che altri fra quelli che contano nel mondo per il rugby, vedendo questo ennesimo addio prematuro al nostro sport, si rendano conto che il rugby che fa così, per quanto soldi faccia, per quanto “si apra” nel mondo, non vince ma perde. Sonoramente.