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FIR E DINTORNI

PIU’ FORMAZIONE PER I TECNICI E… IL MONDO PROF SI PAGHI DA SE (di Marzio Innocenti)

Questo Spazio web ha lanciato due temi per discutere di strategia per il nostro sport. Il primo è stato quello della ipotesi di crescita a doppia velocità (clicca qui per leggere) il secondo quello della scelta concreta della collocazione nel nostro rugby del professionismo o della prosecuzione nel dilettantismo (clicca qui per vedere il lancio di questo tema). Dopo aver ospitato una intervista con il Presidente Federale “Il Nero il Rugby” ha chiesto un parere a Marzio Innocenti. Qui di seguito, in un suo articolo, il suo contributo al dibattito. (Stefano Franceschi)

di Marzio Innocenti

La doppia velocità più evidente è quella tra il rugby italiano e quello dei primi dieci del ranking mondiale. L’evidenza è che la distanza tra noi ed i primi è molto più ampia di quella che ci divide da Romania, Georgia e compagnia. Le cause sono sia storiche che strutturali ma si possono sintetizzare in un ritardo marcato sulla formazione di tecnici di alto livello in numero tale da coprire tutto il territorio per la cura del rugby giovanile dalla propaganda alle cruciali età che vanno dall’U12 all’U18. Ci mancano inoltre tecnici di élite capaci di trasformare buoni prospetti in campioni lavorando al perfezionamento nell’ultima fase della crescita del giocatore.

A tutto questo va collegato il gap di cultura rugbystica che determina nei club, anche nelle accademie, un’atmosfera che poco aiuta i ragazzi a crescere oltre i loro limiti per seguire il sogno di diventare un giocatore vincente che possa lasciare un’impronta nella storia del nostro rugby.

Basta passare qualche ora in un qualsiasi club britannico, francese, neozelandese, australiano, argentino o sudafricano per capire in quale acqua nuotano i ragazzi e quali aspettative ci sono per loro. Un ultimo fattore, non meno importante, è la notevole differenza di risorse che esiste tra noi e loro.

Ritenere ingiusta la ripartizione dei soldi che l’Italia incassa dal torneo del Sei Nazioni e dal Pro14 sarebbe velleitario e sbagliato perché prima di chiedere di più dobbiamo iniziare a vincere di più. Il nodo vero è invece chiederci perché non riusciamo a produrre nuove e più importanti risorse. Sponsor, televisioni ed anche pubblico sono voci sempre molto risicate nei nostri bilanci, compreso quello Federale.

Da qui al secondo quesito il passo è breve e, andando dritto al punto, è mia opinione che ci deve essere una netta distinzione tra rugby professionistico e non professionistico.
In questo momento in Italia ci sono solo due club professionistici e cioè i due che disputano il Pro14. Il resto è tutto rugby di base anche se a molti fa comodo scimmiottare una specie di professionismo pagando quattro spiccioli a giocatori e tecnici.

Il paradosso è che il rugby professionistico vive in parte e quasi totalmente con le risorse che la Federazione dovrebbe utilizzare per il mondo non professionale e per la Nazionale.

Mi spiego meglio. Il professionismo non è per tutti ed è una scelta che i ragazzi con  talento debbono fare valutando bene il futuro e la vita che vogliono. I club debbono essere la struttura che li avvicina al rugby e li forma fino ai 18 anni. La federazione con il suo sistema accademico, strettamente legato al rugby professionistico, deve selezionare quelli che potenzialmente posso divenire professionisti e formarli nell’ultimo gradino per il rugby internazionale.

Da questo ne deriva che i club professionistici possono anche essere in piccola parte supportati dalla federazione ma buona parte delle risorse debbono trovarle autonomamente.

La missione Federale è e deve essere quella di promuovere il rugby, stimolare la formazione di club e supportarli per reclutare e formare ragazzi che migliorino sempre più il rugby domestico e facciano da serbatoio per formare le rose dei club professionistici.

Ovviamente se nel tempo da due si arriverà a venti club professionistici, con dei sani bilanci, allora tanto meglio.

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