Brodie Retallick ha detto “no”. All Blacks di gran prestigio, internazionale da 8 anni ormai, si era trasferito nel post-mondiale in Giappone per giocare da questa stagione nel nuovo e ricco campionato del Sol Levante con i Kobelco Steelers. Poi l’emergenza sanitaria, tutto si ferma, incluso il Giappone e lui torna in Nuova Zelanda nella sua proprietà di Hawke’s Bay, una località dell’isola settentrionale, un piccolo paradiso.
Capita che, qualche settimana fa, la federazione neozelandese, con la quale Brodie ha il suo contratto da nazionale, decida di ripartire con il gioco vero organizzando un campionato fra le proprie franchigie del Super Rugby (Super Rugby Aotearoa) e chiede a Retallick di parteciparvi tornando ai suoi Chiefs, quelli di Waikato, . Il campionato è previsto in partenza per la metà di giugno.
Brodie Retallick ha detto “no”.
Le motivazioni sono ora note, le ha dichiarate lui stesso al New Zealand Herald e, anche se leggerle non dà chissà che brivido, fanno comunque riflettere.
Dice Retallick:” Uno dei motivi per cui volevo rimanere in Giappone e fare questo paio di stagioni era solo per avere una pausa, passare un po’ di tempo con la famiglia con una lunga offseason, e dare al mio corpo un po’ di riposo”.
Perchè giocare a rugby non è come palleggiare a ping-pong, è uno sport duro ma negli ultimi anni è diventato, per i professionisti in modo particolare, uno sport fin troppo pesante, sfinente, invasivo. La dimensione tecnica in termini di preparazione ma soprattutto lo sforzo fisico che è richiesto ad un giocatore di rugby oggi è davvero immane.
Alle regole che hanno modificato il gioco nei termini in cui si è detto si aggiungono il numero di match annui che un professionista di Alto Livello deve fare. Troppo.
Nonostante questo i calendari del professionismo ovale si sono sempre di più infittiti, la spinta verso nuovi match è ancora salita in questi anni. Ci voleva una spaventosa emergenza sanitaria mondiale per mettere davvero a riposo questi ragazzi.
In questo periodo di “stop” la dimensione del “professionismo” ovale nel mondo è stata paradossalmente più visibile. I comportamenti di certi “attori” (in particolare le Società prof ed i Board del campionati prof del mondo) hanno fatto ben risaltare una vita ben sopra le righe. Contratti pubblicitari e soprattutto diritti tv promessi ma intanto vissuti come fossero esauditi che invece, una volta che tutto si è bloccato, sono spesso diventati immediatamente nuovi debiti e crollo generale di Bilanci e sistemi di gestione.
Lo stop di questi mesi ha scatenato appunto una serie di situazioni economiche che si sono rilevate davvero imbarazzanti fra i club del professionismo. La cosa è stata ben visibile soprattutto in Francia. La reazione di questi Club è stata spesso il taglio degli stipendi dei giocatori e, da parte dei Board dei campionati, una spinta per tornare in campo, per recuperare il tempo perduto, ma soprattutto i capitali.
La reazione dei giocatori, quando intervistati, è stata un generale sospiro di sollievo: finalmente un po’ di riposo. Qualcuno lo ha detto apertamente, altri lo hanno fatto intendere.
La reazione di Brodie è una di quelle più forti e soprattutto rappresentative. La tua federazione ti chiama, ed è la federazione degli All Blacks, tu rispondi “no grazie”, tu che sei uno degli All Blacks. E’ un messaggio forte: questo nostro rugby sta chiedendo troppo. Questo rugby corrode.