Il tema è quello del significato italiano della parola “professionismo” nel rugby italiano, oggi ci sono anche due esempi che si vuole mettere al centro della questione (che rimane comunque aperta e chissà per quanto)
In Italia oggi, al di là dei due team di Pro14 che vivono da anni sostanzialmente in una bolla fin troppo asettica, la parola “professionismo” non ha una sua dimensione conosciuta. Il nostro massimo campionato nazionale si cuoce in uno schema che corrisponde ad essere dei professionisti nel fare i dilettanti.
La riflessione, se volete anche un po’ filosofica, riguarderà presto questa nuova Federazione che dovrà mettere mano alla riorganizzazione del nostro rugby partendo dal territorio ma, più in alto, coniugando Pro14 e Top10(8-6?).
Il professionismo non è solo una questione di metodo, o di stipendi più alti e pagati regolarmente, o di un maggior numero di persone nello staff, o di dirigenti preparati ad essere tali, di campi sportivi ben rasati e di prezzi del biglietto più alti e con prevendita sui canali web. Il professionismo è qualcosa di più.
Da queste parti si pensa che si è professionisti quando si è deciso cosa significa esserlo per noi, al di là del tecnicismo: qual è il tipo di comportamento che vogliamo rappresentare in ogni momento per sentirsi tali?
Ci sono in giro una serie di stereotipi che riguardano comportamenti invece “strani” che vengono, da sempre più persone del nostro mondo, considerati professionistici.
E’ magari tollerato perchè professionista un giocatore che esulta in faccia al proprio avversario o compie altre esaltate reazioni, è tollerata come parte del professionismo la corsa al budget più alto, anzi per alcuni è il budget che fa il club professionista, è tollerato come professionistico il fatto che un giocatore possa rifiutare, condizionare o rinunciare alle convocazioni della sua nazionale, è considerato professionistico un Coach che ha tanti uomini in staff o è titolo di professionismo avere il tifo organizzato sugli spalti o una serie di club di sostegno…. e quante altre cose “strane” potremmo citare perchè identificate da molti come professionistiche.
Ecco invece due esempi che piace oggi ricordare inquadrandoli in questo contesto. Entrambi vengono dal mondo dei nostri Coach.
Il primo è il caso di Umberto Casellato, recente vincitore con il suo Rovigo del massimo titolo italiano. Umberto a metà stagione ha chiesto aiuto ad un collega per rifinire alcune questioni interne alla sua squadra assolutamente urgenti ed importanti. Così Casellato, messa da parte ogni propria velleità o preclusione (se mai ne ha avute), ha posto davanti a se l’obiettivo del suo team e della sua Società, ha chiesto ed ottenuto l’appoggio concreto e pieno di un suo collega: Filippo Frati. Questa è una di quelle cose che ci piace identificare come vero esempio di professionismo.
Il secondo e temporalmente molto vicino. Viene dalla dichiarazione di un’altro Coach che, proprio mentre stiamo scrivendo, rileva la conduzione tecnica di una squadra del Top10 e rilascia alla stampa, tra l’altro, anche questo messaggio:”Sono pronto ad accettare questa nuova sfida e sono convinto che oltre che stimolante sarà anche divertente“. Le parole sono di Pasquale Presutti che ha ripreso in mano le sorti tecniche delle Fiamme Oro e che ha coniugato la parola “sfida” con l’idea di divertirsi. Anche questo da queste parti è percepito come un chiaro esempio di professionismo.
Insomma il professionismo è una cosa molto più seria di quella che ci vogliono far credere i frizzi ed i lazzi di certi professionisti. Già, “professionisti” anche quelli , ma di che cosa però?