“Il compito dell’arbitro è quello di dirigere il gioco e non quello di andare alla ricerca delle infrazioni per infliggere le punizioni regolamentari come un addetto all’ordine. Lo scopo principale del gioco di Rugby è il divertimento dei giocatori, possibilmente quello degli spettatori ed infine, dovrebbe essere, anche quello dello stesso arbitro“.
Sono parole semplici per concetti importanti tratte da un libricino dal titolo “Signor arbitro permette?” destinato dalla FIR ai suoi fischietti nel 1976. Se ne è fatto uso altre volte qui, ma ora è davvero il suo momento.
Per descrivere un certo stato di malessere, di astenia tecnica, evidente, dei nostri arbitri italiani potremmo nelle prossime settimane partire da questo prezioso cimelio del nostro sport.
Quanto sopra riportato è a pag 13 appena sotto il titolo del paragrafo “La psicologia dell’arbitraggio”. Qui e oggi ci si limita solo a pochi approfondimenti ritagliati da poche parole chiave: compito, dirigere, ordine, divertimento. Protagonisti di questa breve analisi i nostri arbitri italiani.
COMPITO ovvero ciò che si deve fare, l’incarico che ci viene assegnato. Un compito viene dato e non è auto-assegnato. Quindi, in teoria, il compito è uguale per ogni arbitro, a parità di condizioni (si intende, ad esempio, a parità di categoria che si sta fischiando). Se il compito arriva da fuori non dovrebbe esistere un arbitraggio “personale” o almeno non eccessivamente personalizzato. Non dovrebbe esistere una gestione personalizzata del singolo match (cosa che invece piace a molti fischietti di alto livello). Su quest’ultimo elemento i tecnici richiamano spesso infatti la loro richiesta di uniformità di arbitraggio nei vari match.
DIRIGERE ovvero “volgere”, avviare verso un punto preciso. Dirigere una partita è una cosa che comincia il primo minuto e, con carattere di coerenza, si evolve fino al minuto finale. Perchè dirigere è coerenza. Se non si rispetta quest’ultima la direzione è persa.
ORDINE ovvero la garanzia del mantenimento di un assetto conveniente e funzionale. Una cosa facile da farsi, ma solo dagli spalti. Gli arbitri oggi come oggi soffrono moltissimo questo termine loro malgrado; la continua evoluzione del regolamento modifica in campo l’idea di un “migliore assetto funzionale”. Pensate all’evoluzione delle regole sugli assetti di mischia che hanno influito su tutto l’espressione del gioco e non solo nell’atto della ordinata. Qual’è allora davvero l’ordine ricercato? Ovvero: sono solo gli arbitri che devono rispondere? Perchè la domanda in effetti è altra: che tipo di rugby vogliamo per l’Italia e per ogni categoria? Se non si dà una risposta chiara e soprattutto tecnica a questo come volete che faccia l’arbitro a coordinare “ordine” in campo.
DIVERTIMENTO perchè è un gioco. Nonostante il trascinamento di ambizioni che oggi il rugby ha, rimane un gioco. Ovunque si sposti l’umore o l’ago della bilancia delle cento cose che oggi sono “dentro” al rugby l’arbitro dovrebbe restare in sintonia con il fatto che siamo di fronte ad un “divertimento”. Non è una banalità, tutt’altro. Questo è forse il compito più duro.
Fra i tanti incarichi (troppi) che hanno i verificatori degli arbitri (semplici osservatori, commissari o ispettori che siano) c’è sicuramente anche quello di verificare la psicologia della partita e dell’arbitro rispetto ad essa. Queste parole dicono certo quanto tutto questo sia difficile ma anche quanto sia assolutamente necessario. La maturità del fischio forse passa prima di tutto da qui.
Buon …. divertimento !