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FORZA RUGBY

BRADLEY: IL SISTEMA ZEBRE ED IL SENSO DELLA REALTA’

Insomma avete già letto:”Zebre Rugby Club comunica che Michael Bradley è stato sollevato dall’incarico di capo allenatore della franchigia federale…“. Vi siete indignati ? Oppure addormentati ? O svegliati?  Avete esclamato “urca”, oppure “era ora”, o “non è giusto”, “povero rugby dove andremo a finire”, “non si fa così”, “cosa aspettavano ancora per farlo”,  “il mio rugby è diverso”, o cosa d’altro?

Perchè l’esonero di un allenatore è visto dal nostro mondo come uno smacco, una perdita di stile e di ambito valoriale, questo per tutta una serie di motivi  legati ad una aurea atmosfera che il rugby ha costruito intorno a se rispettando un codice comunque positivo e condivisibile.

Ma il “siluramento” di Bradley cosa significa? Rientra in questa “aurea”?  Pare di si soprattutto se si leggono le declamazioni iper-buoniste che ne fa sia il Club (che di fatto è la stessa Federazione) sia i mezzi di comunicazione. Tutto questo non è certo un male se non si perde però il senso della realtà.

In tutta l’era Bradley le Zebre non hanno mai avuto un risultato apprezzabile e continuativo , se contiamo le partite di Conference che la “franchigia” ha disputato dal 2017 ne sono state vinte 17  e perse 66. Le 7 vittorie del 2017/2018 (14 sconfitte) sono la miglior stagione. Le Zebre non vincono da 17 turni. Certo il team perde e vince tutto unito e quindi “non solo Bradley” deve pagare, ma “gli altri” in effetti sono già stati cambiati.

Così la FIR, ops le Zebre giustificano l’esonero dicendo che il tutto è fatto “…per anticipare il percorso di rinnovamento tecnico…” che tradotto significa che Bradley comunque sarebbe “andato” per scadenza contratto a giugno quindi…. . Così l’onore è salvo e con lui tutti i valori del rugby ma, ecco il punto, è salvo anche “il cambiamento”.

Perchè l’uscita di Bradley non è come l’esonero di un qualsiasi Coach del panorama nazionale. Stiamo parlando di Zebre, ovvero di un costosissimo progetto (6 milioni di euro all’anno?)  che grava sulle spalle della FIR, ovvero del massimo organismo di tutto il rugby italiano.

Le Zebre sono un progetto che non ha avuto successo e che , per sua natura, a differenza di tutti gli altri Club italiani,  è inserito in una globale strategia di cambiamento della Federazione stessa. Quest’ultima sancita nella Assemblea Federale di marzo. Perchè le Zebre, anche se facciamo finta non sia così, sono quello da sempre: un centro (sportivo e di potere) federale.

Tutto questo lo si scrive anche per recuperare anche un po’ il senso della realtà. Perchè Bradley non ha prodotto alcun risultato, se confrontato ai suoi pari nel campionato dove lui sta, ma  lo stesso per più di quattro anni (cosa quasi impossibile per gli altri per non parlare di quello che sarebbe stato in Francia ed Inghilterra) è sopravvissuto sulla scorta di una filosofia nata con il primo allenatore delle Zebre: Christian Gajan. 

Quest’ultimo infatti intervistato dal Gazzettino, era il 2012,  alla domanda se ritenesse avere a disposizione una rosa di giocatori come la voleva rispose: “Beh, io non ho fatto alcuna scelta, ho trovato un po’ tutto pronto…..“, non contento di cotanta sincerità alla successiva domanda dove gli venne chiesto testualmente se lui “avesse un progetto in testa” il francese rispose: “Nessuno in particolare. Il compito mio e dello staff è aiutare il movimento, creare una squadra competitiva per l’alto livello e far crescere atleti per la Nazionale. Riuscire in questo significherebbe aver centrato gli obiettivi“.

Così si stava alle Zebre: vincere non era una opzione, il campionato che si frequentava non aveva un senso competitivo ma era solo una palestra per il mondo Azzurro e non era richiesto il Coach avesse un suo progetto (le teste pensanti stavano in FIR). Anche Bradley ha vissuto praticamente così, i suoi colleghi avranno anche pensato “beato lui“, i (pessimi) risultati poi si sono visti (inclusi quelli azzurri) e qualcuno potrebbe anche dire che “la festa è finita”. Sarà un po’ crudo ma anche questo è realismo. 

Bradley rimane un grande professionista, il sistema era sbagliato. Lui però di quel sistema ne faceva parte, lo ha alimentato e coltivato, per questo è stato cambiato, come del resto, ci si augura, verrà cambiato molto presto tutto quel “sistema”.

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