Ecco a voi una storia eccessiva e semi-seria, pessimista ed un po’ canzonatoria che racconta però di una cosa seria.
C’ERA UNA VOLTA tanti anni fa, la federazione internazionale del rugby
che decise che, per diffondere di più il suo sport, dovesse renderlo più spettacolare. In un angolo il rugby faceva la lacrimuccia e si chiedeva “ma come non sono spettacolare già così?”
Beh insomma questa federazione, la chiameremo World Rugby, decise che lo spettacolo sarebbe aumentato se il rugby fosse diventato più duro, aspro, uno sport ad alto e durissimo contatto. Qualcuno lì dentro forse pensò al rugby come una nostalgia per il romano Colosseo, i gladiatori, i leoni, i giochi di forza altri dissero… altro. Sta di fatto che si pensò di fare così per il rugby dei professionisti.
Quest’ultimo di fatto bandì l’evitamento e innalzò al cielo la cultura delle “sportellate”, un giocatore che prendeva la rincorsa ed andava a sbattere contro un altro diventò una cosa bella e tutti gli “sbattimenti” di questo tipo, in varie e molteplici formule, diventarono il “nuovo rugby moderno”.
Fu così che, nel giro di pochi anni, le prime linee diventarono dai più grossi ai più bassi, la ali uguali a delle terze linee ed i centri spesso con la stessa mobilità delle seconde, il peso medio si sparò ai 100 kg cadauno, molti club inseguivano questi record in palestra. In campo iniziò la battaglia degli “sbattimenti” l’uno contro l’altro, lo scontro fisico divenne spesso una specie di aggressione… ma aumentarono diritti tv, spettatori, sponsor, anche americani o americaneggianti (patria dello sport di “sportellate”, il football…)…insomma, molti soldi.
Il rugby in effetti divenne così solo in alcuni paesi, in molti altri rimase di “livello inferiore”.
Dopo un po’ ci si accorse però che, a fare a sportellate i giocatori si facevano male con maggior frequenza, nacque la consapevolezza della “concussion” (trauma commotivo cerebrale) e dell’eccesso di violenza di alcuni comportamenti di “sbattimento” ma lo spettacolo voleva la sua parte, il circo i suoi leoni. Così non si intervenne direttamente sulle cause ma comunque si introdusse il “cartellino rosso” (e giallo), come misura sanzionatoria per chi non sapeva sbattere in maniera efficace e “sicura”.
Oltre al cartellino rosso fu però introdotta una sensata, preoccupata e costante attenzione alla limitazione della “concussion” con i protocolli di sorveglianza (su questa cosa non si ha voglia di scherzare o di giocare con le parole).
Ma restiamo al “red car” che cominciò a svolazzare qua e là con frequenza in giro per i campi di gioco dei professionisti, quelli del rugby spettacolo. Presto però qualcuno dei pensatori di cui sopra, i cultori dello spettacolo, si accorse che un cartellino rosso di fatto interrompeva lo show. Ci si accorse che, giocare a quei livelli contro un avversario che ha un giocatore in più, significava “partita finita”. Il cartellino rosso diventò “antipatico” a questi pensatori.
Mentre molti tecnici cominciavano a “mitigare” la logica dello sbattimento ed interpretare in forma più logica ed “umana” il “nuovo rugby” i “pensatori” ebbero il colpo di genio: una regola sperimentale, il cartellino “quasi rosso”.
Secondo la nuova idea il giocatore sanzionato avrebbe dovuto star fuori venti minuti, in quel tempo la sua squadra restava con un uomo in meno, il giocatore “rosso” non poteva rientrare ma dopo quel tempo poteva entrarne un sostituto. Così si era ancora in quindici e “the show must go on”. Pensata come regola sperimentale e messa in campo per vedere l’effetto che fa all’inizio procurò qualche prurito …
L’esperimento va in campo tutt’oggi ma intanto un uomo di rugby autorevole, un “certo” Nigel Owens, ha deciso di entrare nell’arena dei leoni, di mettere piede nella fiaba del cartellino “quasi rosso”, ed ha rotto un po’ di uova nel paniere dei pensatori di cui sopra … evviva! (ops … è scappata… il narratore discolo si scusa).
Dopo aver detto che diminuire una sanzione equivale a legittimarne il comportamento Nigel OWENS ha poi aggiunto :
“Non capisco quando sento parlare di giocatori che sono sfortunati ad essere espulsi e che quindi è necessario un cartellino da 20 minuti come soluzione, la mia risposta è che se un giocatore è sfortunato ad essere espulso, allora non dovrebbe essere espulso per niente”.
“Chi governa il nostro sport deve rimanere forte sui gesti spericolati, da incoscienti, violenti e da delinquenti. Abbiamo visto nel passato come il controllo rigoroso di certi gesti illegittimi può portare a un cambiamento come i placcaggi di punta di oltre un decennio fa, c’è stato un cambiamento totale di comportamento da parte dei giocatori e questi atti sono ora molto rari.
L’ultima cosa di cui lo sport ha bisogno è una situazione in cui un giocatore arriva e prende a testate un avversario nei minuti iniziali, solo che il colpevole viene sostituito 20 minuti dopo da un un compagno di squadra. In situazioni del genere invece la squadra non merita di tornare a 15 giocatori. Bisogna prendere una decisione chiara se il fallo è accidentale o invece sconsiderato e poi assegnare il cartellino giallo o rosso appropriato.
“Un cartellino rosso di 20 minuti non fa altro che nascondere le crepe. È totalmente sbagliato, e se andiamo su questa strada allora il rugby sarà nei guai”.
Mi chiamo Massimo Decimo Meridio , comandante dell’esercito del nord , generale delle legioni Felix, servo leale dell’unico vero imperatore Marco Aurelio………….. . Evviva.