Inizia il sei di agosto il torneo del sud del mondo, “The Rugby Championship”, che include le quattro regine della Sanzar (la loro lega), l’inossidabile Nuova Zelanda, la nuova Argentina, la claudicante Australia e quella che ha i piedi su due staffe, il Sudafrica. Inizia e c’è subito una non novità importante per tutto il globo che ama la palla ovale, anche quest’anno il torneo del sud applicherà la regola del cartellino rosso di venti minuti.
La regola ormai la conosciamo tutti, è una variante alla espulsione definitiva del giocatore che commette un fallo da rosso, in effetti il giocatore esce ma, dopo venti minuti di gioco in quattordici giocatori, il team che ha subito la sanzione può farne entrare un altro in sostituzione del “cattivone”. Il rosso con lo sconto, così lo chiamiamo da queste parti, una sanzione di fatto dimezzata che, paradossalmente si applica per i casi più gravi di gioco (anche antisportivo).
L’insistenza di Sanzar nell’applicazione di questa regola sperimentale da “Black Friday” ha un preciso significato politico, ovvero la richiesta che diventi presto una regola ufficiale per tutto il mondo.
Ci sono i favorevoli ed i contrari, i primi sono generalmente legati, come Ian Foster Head Coach degli All Blacks, alla consistenza della partita perchè, ed è vero, il cartellino rosso di fatto è un ammazza partita. I contrari, fra questi il mitico ex-arbitro Nigel Owens, invece si collegano ad un principio educativo del giocatore che deve allenarsi per evitare di commettere certi falli sapendo che altrimenti la sanzione è pesantissima. In realtà il dibattito è ben più vasto ma già partendo da qui si capisce che tutti potrebbero avere ragione.
Come andrà a finire? Senza voler essere “ideologici” diciamo che troppo spesso nel rugby moderno per trovare una risposta si è dovuto seguire la traccia del “segui i soldi”, come in un film poliziesco che si rispetti. Del resto il rugby internazionale lotta da anni solo in funzione del suo riassetto economico, come sarebbe possibile che questa traccia non fosse valida anche per la questione in causa qui oggi?
E’ chiaro che i soldi stanno dalla parte della applicazione del “rosso in saldo”, non uccidere il match è importante per i diritti televisivi e per la gestione di un torneo che rimanga più stabilmente competitivo e quindi più “interessante” per sponsor e pubblico. Di fronte a questo il principio “educativo” si infrange clamorosamente. Poco male se non fosse che…
Se non fosse che il rosso definitivo punisce scontri ed altri falli che si riflettono spesso sulla salute del giocatore, sono falli che possono provocare concussion o altre lesioni, sono potenzialmente molto pericolosi per il giocatore. Questa è realtà.
Anche da queste parti ci si rende conto che la partita finita dopo il cartellino rosso non piace a nessuno, anche da queste parti dopo un cartellino rosso si è spenta la tv e si è andati a fare la spesa, ma questa soluzione non è rispettosa di una serie di valori che il rugby comunque contiene e soprattutto favorisce un gioco ancora più pesante ed aggressivo (altre soluzioni ci sono?).
L’applicazione di questa regola non è quindi solo un modo di “salvare” la partita ma anche la visione di un certo tipo di rugby che, da sempre, accomuna il sud del mondo ed in genere un certo numero di Nations, contro le altre che sono fautrici di un rugby più tecnico e meno di “sportellate”.
Questa ed una serie di altri indizi dimostra come, in questi ultimi anni, il rugby union sia sempre più vicino ad una nuova scissione. Lo spettacolo del Seven e la “fatica” del XIII potrebbero essere poli attrattivi non indifferenti e giocare un primo ruolo in questo.
Ecco perchè quella del rosso con lo sconto è una partita importante per tutto il rugby e, anche se potrebbe sembrare diversamente, coinvolge davvero tutti.