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QUESTIONE D'ELITE

SERIE A ELITE: UN PAIO DI PERCHE’ OTTO VANNO BENISSIMO

Una cosa che mi ha davvero stupito molto è leggere di alcune persone, anche autorevolmente inserite nel mondo del rugby italiano, che si lamentavano del fatto che il massimo campionato, adesso “Serie A Elite”, sarebbe passato a sole otto squadre nel giro di un paio di anni. Urca che botta! Così oggi mi diletto scrivendo un paio di ovvietà.

Insomma, anche questi importanti personaggi ovali, capitani inclusi, pare siano convinti il nostro rugby sia a “capacità infinita”. Evidentemente secondo loro i giocatori li abbiamo, basta farli giocare, abbiamo i soldi, basta tirarli fuori, abbiamo allenatori, basta formarli un po’ di più, abbiamo tifosi da mettere sulle gradinate, basta dirgli il giorno e l’ora della partita…. e via così. Sentite tutte queste cose a me viene in mente che… abbiamo una montagna di bischeri, basta farli parlare.

La questione dell’accostamento del massimo campionato italiano all’Alto Livello passa almeno per un dato: la qualità di chi va in campo ed il conseguente assetto/qualità di gioco che ne deriva. Ce ne sono molti altri ma oggi restiamo su questo.

Quanto sopra significa che chi arriva in “Serie A Elite” (usiamo il nuovo nome) deve essere il più vicino possibile a chi gioca in URC, o almeno il gruppo di gioco (i trenta in campo) devono essere in una posizione tale da far emergere chi potrebbe provarci davvero. Quindi, se ogni team di Top10 aveva circa 35/40 giocatori in rosa, secondo voi avevamo/abbiamo in Italia circa 350/400 giocatori, stranieri inclusi, che arrivino a quel livello? La risposta è palese, un bel sonante “no”, lo si vedeva in campo ad ogni giornata, almeno in due match su cinque.

Abbassare il numero di squadre partecipanti ad un campionato significa, tra le molte altre cose, aumentare la concentrazione di talenti in uno stesso team, alzando così il livello. Si diventa forti giocando con i più forti. Inoltre se i team sono otto e non dieci, le partite di campionato sono anche meno, quindi bastano meno giocatori in rosa, anche solo 35.

Se dovessimo guardare alla reale capacità del nostro bacino di giocatori di  puntare all’Alto Livello, si intende proprio il numero di giocatori,  dovremmo concentrarli al massimo in cinque team (meno di 200), otto team sono già troppi (circa 280/300 giocatori). Però un campionato a cinque non è tale e comunque chiude le opzioni “alternative” invece di aprirle, anche per questo otto è un buon numero.

L’esempio lampante della mancanza di giocatori di Alto Livello è la progressione degli ultimi anni della Benetton, contate il numero di stranieri della squadra di Treviso per farvene una idea: da molti a moltissimi. Facendo così i biancoverdi hanno alzato il loro livello interno alla rosa garantendo anche la crescita degli italiani in squadra.

Del resto avere un campionato competitivo è garanzia di crescita collettiva della categoria considerata. Ne sanno qualcosa alla Lazio che ha perso la finale promozione per la Serie A Elite contro il Vicenza solo perchè i veneti, ottima questa considerazione fatta proprio dal Coach biancorosso Cavinato, erano abituati a combattere ottanta minuti ad alta intensità (il Vicenza ha infatti vinto la finale negli ultimi venti minuti) cosa che durante la stagione non era praticamente mai accaduta ai laziali. Il Vicenza militava nel durissimo Girone Nordest della Serie A dove ogni partita (davvero tutte) era una battaglia all’ultimo secondo, un girone intenso e difficile. Si chiama sempre “Serie A” ma il girone centro sud della Lazio non aveva queste caratteristiche ed i romani alla fine del primo tempo spesso avevano già chiuso la partita.

Questo campionato “Elite” ha bisogno, allo stesso modo, di elidere le troppe differenze fra i team, essere più omogeneo verso l’alto.

Abbassare il numero delle squadre di Elite significa concentrare i talenti ed alzare l’intensità delle partite, innalzare il livello tecnico, rendere meno scontati quasi tutti i match di giornata e quindi aumentare l’interesse verso il campionato.

Anche a chi scrive piacerebbe vedere un campionato di “Elite” di 16 squadre sparse da Varese a Caltanisetta ma questa non solo non è la geografia attuale del nostro sport ma non è nemmeno la sua capacità reale. Ci vorrà molto tempo per arrivarci, troppo ne abbiamo perso dietro di noi, guardiamo quindi a questo ultimo tentativo con fiducia e facciamo il tifo per il nostro rugby. Le cattive cassandre si diano all’ippica.

Forza rugby italiano.

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