Il Presidente del Tolone Bernard Lamaitre
Il bellissimo campionato francese di rugby in effetti è un cumulo di debiti.
Lo sapevamo, non è una grande novità, ma fa bene ripeterlo agli “innamorati ” esterofili di casa nostra e fa bene ricordare che qui da noi ci bastano i recenti buchi di bilancio della FIR (17 milioni di deficit negli ultimi due anni), e soprattutto che se si deve mettere in piedi in Italia un campionato tecnicamente più evoluto questo deve essere sostenibile.
Un grazie a Rugbymeet che, a firma Daniele Goegan, ha voluto segnare questa torrida estate facendo emergere questo significativo dato transalpino proprio adesso, (un articolo che potere leggere cliccando qui) , quasi come un monito anche per il nostro rugby, un elemento di contrasto da valutare anche per la campagna elettorale della FIR che si svolge fino al 15 settembre. Tutti i candidati alla Presidenza FIR dovrebbero raccontarci cosa pensano del dato che ora vi presentiamo.
Goegan si è andato infatti a prendere una intervista rilasciata in questi giorni dal Presidente del Tolone Bernard Lamaitre a Midol-Rugbyrama (clicca qui l’articolo della rivista francese) dove questi fra l’altro dichiara:” Tutti i club di rugby (ndr: “francesi”) perdono denaro. Riteniamo che un club sia virtuoso, ma in realtà perde quattro milioni di euro. Un altro ne perde cinque. Anche il club più titolato (ndr: lo Stade Toulosain), ha delle difficoltà. Questo traspare dalla corte dei conti e dai differenti articoli di stampa. Non si guadagna denaro nello sport, e lo stesso vale per il rugby”.
Il suo Tolone perde 14 milioni di euro su un budget che la scorsa stagione girava intorno ai 40.
Insomma il vertice del rugby francese (Top14 e ProD2) perde denaro in continuazione, tanto pubblico sugli spalti, grandi scenografie, campioni fenomenali in campo, sponsor da capogiro, grande visibilità sui media, tutto è al top, ma i club perdono milionate. Quindi il loro modello di business non è assolutamente sostenibile.
Sappiamo da tempo che il rugby inglese di Premiership attraversa una condizione simile. Una deduzione forte va fatta: il rugby europeo professionistico di club non ha un modello virtuoso da proporre.
A confermare quanto sopra anche in Italia abbiamo i nostri piccoli esempi.
Va ricordata infatti la affermazione che Andrea Rinaldo, rappresentante italiano in World Rugby e candidato alla Presidenza del rugby mondiale, ha detto ai microfoni di zeronove15 (clicca qui se vuoi ascoltare), il podcast che produce chi scrive qui, con riferimento al rugby di club italiano:” Non esistono le condizioni per un rugby professionale in Italia. Non si può guadagnare uno e spendere dieci”. Rinaldo si riferiva al campioanto italiano ma, gli va ricordato, la sua affermazione varrebbe più che mai anche per la stessa Benetton di URC la quale sta in piedi grazie ad un contributo a fondo perduto annuale di 5 milioni della FIR. Per le Zebre stendiamo un velo compassionevole.
Non esiste quindi un modello di business sostenibile per il rugby di club europeo, a nessuna latitudine.
In Italia si è recentemente manifestata una voglia/necessità di realizzare e promuovere un massimo campionato di livello superiore all’attuale, la costituzione della Lega Rugby Italiana ne è stato il primo passo, ne abbiamo già parlato (se vuoi clicca e leggi qui). Davanti a questa iniziativa i dati francesi ed inglesi, la realtà URC italiana, i debiti gallesi e via così, suonano come un indizio e/o forse un severo ammonimento.
A proposito del dibattito sulle elezioni FIR va detto che due candidati, in maniera assolutamente simile, sostengno questa ascesa dei Club e del territorio, Andrea Duodo e Massimo Giovanelli, mentre il ri-candidato Presidente Marzio Innocenti persegue più che altro lo svuotamento e prosciugamento dei club a vantaggio della iper-struttura federale.
Ecco allora un obiettivo di altissimo livello per il rugby italiano, anche più alto di una vittoria della Nazionale: mettere in piedi un modello diverso di campionato, maggiormente vicino alle reali istanze di un Club di rugby e di un territorio sportivo piuttosto che di uno strumento di entertainment e di show business, creare condizioni di crescita sostenibile e programmate, puntare al realismo prima che alla vanità.
Perchè è della “vanità” che prima di tutto dovrebbe preoccuparsi il rugby francese, su quella sopravvivono buona parte degli ingentissimi finanziamenti a perdere che i grandi mecenati del suo rugby stanno spendendo. Quanto può durare tutto questo? I primi grandi scricchiollii purtroppo si sentono già.
Ecco un altro grande argomento del quale il mondo ovale italiano può farsi carico, per se stesso ovviamente. Creare un campionato “di livello” come sopra descritto potrebbe essere un risultato conseguibile nel medio periodo; questo può dare a tutto il rugby italiano, azzurro e di club, di vertice o di categoria, una spinta decisiva per l’ampliamneto della sua base e dell’interesse generale nel palcoscenico sportivo nazionale.
Per perseguire tutto ciò però non basta saper giocare o aver giocato a rugby, servono anche qualità tecniche ben diverse, strategiche e manageriali. La vera sfida è questa qui.