Se c’è qualcuno o qualcosa che deve presto smaltire il ragionevole entusiasmo per il risultato della Assemblea Federale, sono i Club di Elite e la Lega Italiana Rugby che hanno loro stessi costituito.
Beh, un sospiro di sollievo da parte loro è giustificato, domenica 15 settembre ha vinto una politica sportiva ovale che rimette al centro i Club, tutti però, e questo è cosa buona ma è anche un indice chiaro del pesantissimo senso di responsabilità che deve pervadere i Club del massimo campionato.
Questi ultimi sono palesemente chiamati a “tirare” il sistema, a recuperare gradualmente il ruolo di protagonisti, ad imparare a chiedere e realizzare cose… di “un certo peso”, diciamo così. E’ il tempo che i Club di Elite si prendano lo spazio che meritano e, insieme a quello, le responsabilità che conseguono.
La “trattativa” che la Lega dovrà fare con la FIR per recuperare la gestione del campionato 2025/2026 potrà anche essere favorita dalla elezione di Andrea Duodo ma non sarà comunque una passeggiata.
In primis la Lega dovrà dimostrare di avere consistenza, ovvero sia capace di reale coesistenza interna, ma anche che il suo progetto porti alla estensione del bacino di utenza e non alla sola gestione.
Un secondo livello sarà quello che vedrà la Lega capace di essere motore di evoluzione per la sottostante Serie A. Forse non si tratterà più, per i team di Elite, di avere squadre “cadette” nelle serie minori ma veri e propri Club associati e/o affiliati e via così.
Un terzo livello, decisamente il più difficile, quello che vede il mondo della Lega Italiana Club dimostrarsi realmente, e non per contratto o per interesse politico, “area di interesse” per i Club di URC. La cosa si trascina dietro l’annosa questione dei permit player ma anche una cosa che mai era stata chiesta a Benetton e Zebre, quella di mettere a disposizione la loro posizione per aiutare concretamente la crescita del bacino (giocatori, tecnici, dirigenti e giocatori) della Elite.
Quello che si chiede ai Club e di fare i Club, ovvero essere filiera competitiva nel sistema del rugby italiano. Come tutto questo sistema deve essere a servizio della rinascita di intere aree geografiche desertificate o in difficoltà, ritorna la questione del Sud, è un tema ineludibile e lì l’anello si ricongiunge con il mondo della FIR, lì il sistema dei Club deve dimostrare di essere sistemico in quello Federale. Urca ! Un vero lavoraccio.
Fare tutto questo non è questione di mesi ma di anni di lavoro ma è questo l’obiettivo minimo che questa Lega deve perseguire per poter dare un senso al risultato di domenica scorsa.
Spesso, per dare una senso alla attuale Lega Italiana Rugby, si cita la vecchia lega aperta nel 2001 e chiusa nel 2009, la LIRE, la quale faceva tante belle cose ma viveva in un mondo ovale decisamente più semplice.
La LIRE viveva alle soglie del professionismo del rugby appena entrato in auge nel mondo (solo cinque anni prima), non c’era URC, quando è nata l’Italia stava da solo un anno nel Sei Nazioni, la LIRE operava inoltre in un contesto economico e sociale quasi banale rispetto ad oggi e va ricordato che quello della LIRE era un mondo “senza smartphone”, Facebook in italiano è arrivato nel 2008.
Quella LIRE non ha niente a che fare con quella che oggi è la Lega Italiana Rugby, meglio che quella di oggi guardi a ben altri modelli, francesi o inglesi, anche quello zeozelandese se preferisce e, perchè no, quello del Sol Levante o quello americano.
Perchè il compito che la Lega ha nel nostro rugby è troppo importante per mettersi a guardare indietro.