Foto: Facce tirate in sala stampa dopo la sconfitta con l’Argentina.
Gonzalo Quesada ha preso la sua prima sbandata, avremmo preferito perdurasse la sua immunità ma il nostro rugby azzurro di vertice riesce sempre a non sorprenderci. Perchè quello che conta davvero del cappotto (18 – 50 il risultato finale) rimediato dall’Argentina sabato in quel di Udine non è il punteggio in se, non è nemmeno l’assenza sui palloni aerei o il punto di incontro, ma il black out azzurro sceso in campo negli ultimi venti minuti. Questo ha conosciuto Quesada che ancora forse non gli era noto.
Pur continuando da queste parti a sostenere che queste Autumn Series sono solo una cabina di test e che il vero effetto, di crescita, di progressione ed anche, perchè no, di risultato finale lo si vuol vedere al prossimo Sei Nazioni, non si possono non rilevare alcune indicazioni pesanti. Belle e brutte.
Si inizia da quelle “brutte”, farlo è uno stereotipo ma c’è anche che si sono ampiamente guadagnate l’aggettivo “pesanti” che si diceva sopra. La prima “brutta” è senz’altro quella di essere scomparsi in quasi tutto il match in diversi componenti di gioco: si diceva del gioco a terra e di quello in aria ma non bisogna dimenticare il placcaggio. A quest’ultimo vanno aggiunte alcune fanciullesche interpretazioni di alcune fasi del match che ci sono costate la figuraccia finale.
Queste ultime cose brutte tenderebbero a far guadagnare a questa squadra, sui cui pregi trascorsi si è pontiifcato, almeno per l’occasione, l’appellativo di “immaturi”. Troppe sviste per un team di professionisti abituato a scendere in campo ad Alto Livello.
In un match in cui alla fine il possesso azzurro è al 49% ci si chiede dove si è trovato il tempo per subire sette mete dagli argentini; poi si rilegge il tabellino e si vede che quattro sono state marcate negli ultimi ventitrè minuti, quando è sceso il buio nelle menti azzurre. Ma quel buio è sceso quando quattro cambi erano già stati fatti (se si conta quello di Negri al 59’potremmo dire cinque) e quindi sarebbe stato logico pensare di avere un team più attento, fresco e motivato. Niente di tutto questo.
Buio totale, gioco a zero, squadra dispersa, buchi ovunque, cervello spento. Cose già viste in passato, giusto dopo i pimi cinquanta/sessanta minuti. Prima volta così forte con Quesada. Ti viene il dubbio: ma non è che in fondo in fondo non è cambiato nulla? Ma no dai, non è possibile.
Questo match non conterà magari niente, così si pensa qui, lo abbiamo già scritto, ma provate voi a far finta di non aver visto tutto questo.
Le cose belle ci sono eccome. Basta ricordarci quanto ci siamo divertiti e stupiti a vedere giocare gli Azzurri nel primo tempo ed all’inizio della ripresa. La sequenza di progressioni in verticale con tentativi ben riusciti di gioco in continuità a mezzo off load e continui ricicli su giocatori puntualmente a sostegno, è stato uno spasso. Meno che la concretezza non fosse l’ultimo tassello di queste azioni ma comunque uno spasso.
Aver visto una Nazionale che si pone il tema di divertire e divertirsi giocando a rugby è un buon viatico per favorire la sua crescita per se e fra la gente. Poi si deve anche vincere e/o giocare bene ma questo tema, quello del “divertire” non può essere secondario in un contesto in cui il rugby è sempre di più, a certi livelli, uno strumento di coinvolgimento di persone e di ambienti.
Altra cosa bella in campo è stata la nostra meta di maul diventata meta di punizione, la cosa ha colpito gli avversari proprio sul loro punto forte: il raggruppamento. I nostri avversari sono rimasti così toccati dall’affronto che hanno sentito l’urgenza nel corso del match di ripetere il gesto per pareggiare il conto. Una Italia così piace e ri-piace ma non fa capire allora come sia arrivato il black out sucessivo.
Poi c’è Udine, fra le cose belle, anzi bellissime. Organizzazione al top, stadio da dieci e lode con servizi e sistema di gestione della presenza di addetti e tifosi di alto livello. La stessa città era presente e preparata al rugby, tutto ok. Con Udine ed il suo stadio il contratto vale per tre anni, altre due volte oltre a questa ed è una scelta davvero ottima. Bravi furlani.
Qui non piace chiudere questa piccola analisi di questa cocente sconfitta scrivendo, come fanno in troppi adesso, “beh, adesso testa alla Georgia“. Così è troppo facile. Invece qui piace dire che adesso abbiamo un conto in sospeso, il tempo passerà ma l’Argentina la dovremo ritrovare, lì dovremo essere migliori. Questo è quello che conta, questo è rugby.