Abbiamo trascorso, da queste sponde, i Test match estivi ed autunnali scrivendo e raccontando che quelle partite non erano importanti, comunque fossero andate non ci si sarebbe strappato i capelli e tanto meno avremmo fatto salti di gioia. Non contavano.
Quelli erano “passaggi” obbligati, da Tonga al Giappone, nessun pianto nessuna “ola”. Ma ora la musica è diversa. Per diversi motivi, in effetti non tutti previsti.
Siamo davanti ad un Sei Nazioni dove siamo noi il passaggio obbligato, dove l’Italia è un po’ meno Cenerentola del solito, dove qualcuno è chiamato a confermarsi ed altri a ricostruirsi, noi siamo fra i primi, ahi ahi. Caro Quesada, la storia è proprio questa qui.
L’Italia da sempre è un po’ più avvantaggiata nel primo e secondo Sei Nazioni post-Mondiale, ovvero quando le rose di certi avversari sono più mobili, spesso meno “sicure”, in fase di realizzazione in certi casi. Questa è una condizione avvalorata nel passato ma quest’anno è ancora più forte perchè, paradossalmente, il gruppo più solido è proprio il nostro. Una condizione tecnica che, proprio per non creare aspettative o per pararsi dalle eventuali delusioni, viene sottodimensionata dai canali ufficiali e non della Nazionale ma che è ben visibile a chi segue il rugby con continuità. Questa Italia è tutt’altro che sperimentale, tecnicamente rodata, affiatata e con alcune duplicazioni di ruolo molto interessanti. Questo è il primo motivo per cui questo Sei Nazioni per l’Italia (e per Quesada) conta eccome.
Visto che a livello sportivo le cose sembrano tracciate vediamo una seconda condizione che ci costringe a mettere al centro del nostro rugby questo Sei Nazioni: il movimento è in calo.
E’ calato il tesseramento dei giocatori, il movimento ovale italiano è in flessione, ma soprattutto non è in grado di rigenerarsi con dimestichezza, molto zone della penisola, molte e pure ampie, sono spopolate dal rugby, anche e soprattutto posti dove una volta aveva delle sue radici. C’è un generale appassimento dell’interesse verso il nostro sport, il bando di gara per cedere le Zebre a privati, andato di fatto quasi deserto, ha dimostrato ancora una volta questo, oltre al fatto che il rugby non ha investitori veri, solo qualcuno appassionato (certo sono i migliori, ma sono pure pochi).
Questo nostro movimento ovale ha bisogno di ritrovare entusiasmo, di aver voglia di portare in giro la palla ovale, di trovare nuovi spazi di visibilità ed attenzione, di portarsi in casa giocatori, arbitri, sponsor, amici, insomma … ha un bisogno terribile di un nuovo sviluppo. Una prestazioe suntuosa della Nazionale al Sei Nazioni, quest’anno pure in diretta RAI, magari anche con qualche colpaccio, sarebbe un regalo immenso per tutto questo. Questo è il secondo motivo per cui questo Sei Nazioni per l’Italia conta parecchio.
Poi c’è la questione dei soldi, la cassa della FIR, magari quella piangesse lacrime amare, in realtà lacrima sangue, massacrata da un buco di Bilancio erditato delle passate stagioni che certo deve essere affrontato con “tagli” alle varie attività Federali ridondanti o non produttive, ma che troverebbe un immenso aiuto, oltre ad un certo e già organizzato ridimensionamento dei costi, in una rivitalizzazione dei ricavi, dei quali il Sei Nazioni è il massimo rappresentante.
Se l’Italia va bene al Sei Nazioni, cresce l’attenzione, lo spazio, la visibilità e magari oltre alla stessa partecipazione ai match e quindi ai maggiori incassi negli stadi “azzurri”, il tutto potrebbe portare nuovi investitori o convincere i vecchi a scommettere di più sul nostro rugby.
Ecco perchè questo Sei Nazioni conta davvero tanto, se fino ad un anno fa pensavamo solo alla prestazione sportiva, che comuque, si è detto, non ammette sconti o retromarce, si sono aggiunte almeno le altre due consapevolezze che non sono certo da poco.
Anche Quesada ha un motivo valido, tutto personale e molto profondo, per considerare questo Sei Nazioni decisamente importante per se; deve dimostrare che la sua attività, la sua competenza e la sua “manina” tecnica valgono molto più di quella di un bravo Head Coach italiano (che costa decisamente meno), perchè in Italia in questi anni non sono cresciuti solo i giocatori ma anche certi allenatori. Quesada ci faccia vedere cose da categoria superiore altrimenti potrebbe essere l’ultimo Coach internazionale a guidare il mondo Azzurro. Qui si fa il tifo anche per lui ma, da sempre, prima di tutto, per gli Azzurri ed il rugby italiano.
Forza Sei Nazioni.