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CONCUSSION: L’ITALIA E’ AL PALO MA IL FENOMENO E’ REALE

Intervento per “protocollo concussion” a George North

Non si può continuare a far finta di nulla, il problema esiste e va affrontato anche in Italia. Parliamo di “concussion” e chiariamo subito di cosa si tratta perchè il termine in inglese nasconde la gravità della cosa che viene meglio con la definizione letta in italiano: commozione cerebrale.

La commozione cerebrale è il più comune trauma cranico nello sport. Si verifica quando un giocatore riceve un impatto sulla testa o sul corpo che provoca lo scuotimento cerebrale all’interno del cranio. La commozione cerebrale può verificarsi con o senza perdita di coscienza. Se si sospetta una commozione cerebrale, è responsabilità di tutti assicurarsi che la persona colpita riceva l’aiuto di cui ha bisogno“. Questa è la definizione del problema data da “New Zealand Rugby”, semplice lineare ed allarmante specialmente quando richiama alla responsabilità comune. Sono sempre di più i giocatori che si ritirano dal nostro sport per eccesso di “concussion”, che successivamente ricevono cure importanti, che temono per la loro salute, perchè di quello si sta parlando, della salute dei ragazzi che giocano a rugby. Una attività apparentemente ineludibile eppure in Italia non ancora presa seriamente e definitivamente in considerazione.

World Rugby ha lavorato molto su questo aspetto fondamentale della salute dei giocatori elaborando una serie di regole e, soprattutto, il protocollo HIA che interviene direttamente in campo durante il match con comportamenti standardizzati e traslando la responsabilità della salute del giocatore colpito da concussion direttamente al personale medico di campo escludendo arbitro e Società.

World Rugby ha inoltre messo in atto il GRTP,  in italiano Ritorno Graduale al Gioco che comprende degli esercizi progressivi monitorati che reintroducono un giocatore colpito da concussion alla pratica dello sport procedendo per tappe lente e sicure.

In Italia il pieno recepimento di queste buone prassi è ben lontano. Sul nostro massimo campionato nazionale vige la regola che un giocatore al solo sospetto di aver subito una commozione cerebrale debba lasciare definitivamente il campo e, a fine partita, la squadra lo comunichi all’arbitro compilando apposito modulo. Non esiste però nessuna indicazione diretta ed il riconoscimento della gravità del danno subito in partita è lasciata al giocatore o ai medici della Società. Però c’è il modulo e si compie così la solita farsa della burocrazia che sostituisce la responsabilità, di fatto una “inattività” palese sul problema.

Quanto sopra è talmente vero che, nella scorsa stagione di Eccellenza, in occasione delle semifinali playoff, la FIR in pompa magna dichiarò che “su disposizione della Commissione Tecnica e della Commissione Medica Federale, viene infatti introdotto in via sperimentale il protocollo HIA (Head Injury Assesment), volto a verificare, anche attraverso un’analisi in tempo reale delle riprese video del match, eventuali traumi concussivi che abbiano a verificarsi sul campo“. Andò in scena una farsa, un moto di disorganizzazione e di  pressapochismo, a sentire i protagonisti mancò un po’ tutto, dalle comunicazioni con le Società coinvolte alla assenza dei mezzi tecnologici necessari ad applicare il protocollo.

Quelli della FIR credevano forse di cavarsela con un comunicato stampa ma in campo si videro pasticci tali e tanti che ci mise una pezza il Presidente della Corte Sportiva di Appello Achille Reali che, a fronte di un pesante e giustificato ricorso post-partita di una delle semifinaliste ai danni della concorrente, salvò capra e cavoli con una sentenza che fa scuola per bruttezza e lampante iniquità.

Laggiù in Inghilterra invece la RFU ha messo in moto una indagine sulla sua Premiership che certo non sarà sfuggita alla impegnatissima Commissione Tecnica della FIR guidata dal potente Franco Ascione. Dicono infatti gli inglesi tramite il loro “Professional Rugby Injuries Surveillance Project” (Progetto di sorveglianza delle lesioni da rugby professionistico) che c’è un aumento di incidenti, sono molti di più quelli gravi e che tutto questo pare sia dovuto proprio al cambiamento delle regole di gioco. Lo studio è decisamente circostanziato mette in evidenza come le nuove regole portino più giocatori in difesa rispetto al passato aumentando i contatti, che sono sempre più duri. Particolare interessante è come in Premiership sia aumentato il numero medio di placcaggi a partita del 10% e che gli infortuni riguardino adesso più il placcatore che non il placcato.

Il fatto che i nostri ragazzi in Eccellenza non siano professionisti non si vede bene come giustificazione per non applicare il protocollo HIA nella miglior forma possibile anche da noi, non esistono le “commozioni cerebrali dilettanti”, il profilo clinico non fa queste differenze. Ovvio che, se l’Eccellenza potesse avere un trattamento così, anche gli altri campionati a scendere di categoria dovrebbero dotarsi di migliori regole di ingaggio sul fronte della salute dei giocatori.

Da queste parti ci si aspettava che, dopo la pompa magna dello scorso campionato e la esaltazione, a mezzo comunicato stampa, della importanza della salute dei giocatori la Commissione Tecnica Federale e la Commissione Medica Federale ci sottoponessero il protocollo HIA nel  2017/2018 ma si vede che tanta ovvietà non è condivisa da chi conta davvero.

In Italia la GIRA (Giocatori d’Italia Rugby Associati) ha avuto da IRPA (International Rugby Players Association) il compito di promuovere attività concrete e di studio per la applicazione delle norme sulla concussion in Italia.

Adesso ci si aspetta che AIR e GIRA chiedano, velocemente ed alla luce del sole, la immediata applicazione del protocollo HIA e di tutte le normative per la tutela della salute dei giocatori colpiti da “concussion” incluso il monitoraggio totale e nazionale del protocollo GRTP.

Un silenzio troppo lungo non sarebbe compreso, su questo fronte bisogna agire subito e, per una volta, bene. Con la salute non si scherza, altrimenti non è più sport.

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