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IL FLAMINIO? MA ANCHE NO. GRAZIE LO STESSO

Una delle prime cose che si sono lette dopo l’elezione del nuovo presidente della FIR e stata la richiesta del Presidente del CONI Malagò verso il neo-Presidente FIR ad “interessarsi” del Flaminio. La risposta di Innocenti è stata che, se i vari enti sportivi (Sport & Salute , CONI, ecc) danno al rugby i soldi per farlo, la FIR se ne può anche prendere il carico organizzativo.

Dopo quel giorno su vari testate nazionali sono ricominciate ad apparire articoli piangenti ed afflitti (l’ultimo su Repubblica -Cronaca di Roma è quasi sentimentale)  grondanti di passatismo e di analisi tecnica sull’altezza delle erbacce che infestano lo stadio romano. Una sequenza di giornalisti che hanno scritto, invece che di sport o cronaca nera, di sterpaglie, di “antiruggine collocato in un punto imprecisato della storia” e via così.  Una cosa che farebbe piangiucchiare chiunque. L’articolo accanto magari era quello sui settecento milioni di euro per i diritti TV del calcio.

Insomma pare che il mainstream dello sport italiano abbia trovato nel rugby colui che si deve accollare la ristrutturazione di questo stadio. Non se ne capisce il perchè, mica ci è passato solo il rugby lì dentro.  Certo dire “Flaminio” fa sognare ed evocare gran ricordi a moltissimi tifosi del rugby, ma sarebbe un sentimentalismo un po’ troppo costoso. Insomma, i sogni non vanno a braccetto con i bilanci economici, tirare fuori dei soldi e un po’ stupido se lo devi fare solo per i bei ricordi andati.

Chissà invece perchè da queste parti sembra che qualcuno stia facendo i conti in tasca alla FIR ed abbia deciso, senza averne alcun titolo, come spendere i soldi che arriveranno da CVC per vendita quote Sei Nazioni e Pro14.  Magari ci si sbaglia. Mah!

Ma il rugby italiano non ha alcuna responsabilità se il Flaminio è una delle più fatiscenti strutture romane, non è certo colpa della FIR o del rugby, di nessun presidente della FIR e di nessuna squadra di rugby se il Flaminio è nel totale stato di abbandono e di degrado.

Invece i club aderenti alla Lega Calcio ed alla FIGC gestiscono dittatorialmente quasi tutte gli stadi di proprietà pubblica in Italia e ne vietano sistematicamente l’ingresso alle altre discipline. Magari questi si occupassero anche del Flaminio, antiruggine e punti di storia compresi.

Il rugby usufruisce già di uno stadio a Roma, le altre partite azzurre girano lo stivale anche a titolo promozionale e non si vede perchè non debba essere così. Perché il rugby ha bisogno di essere diffuso, di muoversi e girare, di fissare tanti paletti in giro per l’Italia, ha bisogno di farsi conoscere, di toccare più da vicino possibile il cuore dei suoi piccoli atleti e del territorio intero. E poi da da queste parti piace sognare ma decisamente più in grande.

Perchè qui non si disdegna che la struttura romana del Nervi abbia un suo degno futuro ma, messo insieme quanto detto sopra,  il grande sogno del rugby dovrebbe essere di avere non uno ma altri tre stadi del rugby. Milano, Catania, Torino, Napoli,  Venezia, Genova, Firenze (a proposito anche a Firenze lo stadio fu progettato dal Nervi e sta per essere abbandonato…).  Insomma scegliamoci  i tre posti  ma non sarebbe più “grande” e giusto per il rugby che fosse così?  .

Se il rugby ha un problema di infrastrutture, e ce l’ha, è magari diffuso in tutto lo stivale,  in tutti i casi non si chiama Flaminio.

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