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PERSONAGGI

IL CAVINATO IRREQUIETO RECIDIVO E LA “LEGGE AD PERSONAM”

E’ una cosa oramai usuale, spettatori e giocatori avversari si sono abituati a vederlo sbracciarsi in campo, urlare con potenza, contestare arbitro e giocatori e magari non sempre solo i suoi, quando si siede a volte sembra litigare con se stesso, quando si rialza insegna palesemente all’arbitro cosa fare, alcune volte si è rivolto anche verso il pubblico e non per approvarne gli umori; è la principale occupazione del quarto uomo che capita nel suo match,  è comunque un grande allenatore del nostro rugby: è Andrea Cavinato.
Andrea Cavinato

“Il rugby non ha regole (rules), ma leggi (laws). E il dettaglio linguistico è rivelatore dell’idea condivisa del gioco, del rapporto tra il singolo (giocatore e spettatore) e l’evento collettivo di cui è partecipe. Durante la partita, la «punizione» per il giocatore che ignora le «leggi» del rugby e la «punizione» che ne deriva è in ragione della sua buona o cattiva fede, della sua semplice negligenza o del dolo, della sua «recidività» nell’errore“. (tratto da “L’arte del rugby” di Spiro Zavos Ed. Enaudi)

Spiro Zavos ha oggi 75 anni, è uno dei più noti giornalisti neozelandesi e di libri sul rugby ne ha scritti sette ma non deve aver mai incontrato Cavinato che di certe leggi ne fa troppo spesso un uso molto personale. “Questo è rugby non è calcio tu fai il tuo lavoro che io faccio il mio” , frase celebre, passata alla storia del rugby, recitata con durezza gallese e serietà tutta britannica da uno dei migliori arbitri del rugby mondiale, Nigel Owens, proprio in faccia al nostro Botes nel gennaio 2012 in Pro12; chissà Cavinato cosa penserebbe nel dover constatare che non può far tutto lui: l’allenatore , il giocatore e l’arbitro.
C’è stato un episodio nella seconda giornata di  Eccellenza , magari un fatto insignificante ma che ha un senso perchè è solo l’ultimo di una lunga serie (questa si chiama “recidiva”). L’arbitro Damasco fischia, dalla panchina di Calvisano Cavinato comincia la sua filippica, urla verso l’arbitro, lo invita a “guardare”, insegna e si sbraccia poi avanza anche il suo aiutante, Mor, rincara la dose con ampi cenni palesi e scomposti di disapprovazione, Damasco è li poco distante che, se ha due occhi vede, se ha due orecchie magari anche sente ma invece si avvicina il quarto uomo, Bellinato, che si prende cura del Cavinato, lo coccola e gli spiega, lo accudisce, lo tranquillizza amorevolmente, l’Andrea scuote la testa, ha raggiunto il suo obiettivo,  quindi fa anche il gesto di sedersi. Chissà se questo trattamento “paterno” sarebbe toccato a chiunque. Sicuramente se lo show di Cavinato lo avesse fatto un giocatore in campo sarebbero stati dolori sotto forma di cartellini di chissà quale colore. Damasco invece ha taciuto, non ha visto, i soliti maligni in tribuna diranno che il successivo quarto d’ora pieno di sviste a favore di Calvisano non sarà un caso, ma sono davvero solo maligni perchè l’unico errore dell’arbitro che si può raccontare è quel “lasciar correre ad personam”, come se le mille sfuriate in campo e quelle sulla stampa del tecnico del Calvisano abbiano provveduto a costruirgli una sua personale “possibilità di andare oltre”, come se si dovesse sempre considerare che,  in fondo, il  Cavinato è irrequieto, il ragazzo è fatto così. Nessuna intenzione di far da gogna mediatica ad un grande e molto scomposto coach del nostro rugby ma, caro il mio Damasco, come la chiudiamo? Buttiamo li un banalissimo “la legge è uguale per tutti”? Magari funziona..

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