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AFFARI ESTERI

WORLD RUGBY : CRESCITA, MERCATO, NUOVI FAN ED UN CALCIO ALLA AUTOREFERENZIALITA’

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La nostra Federazione internazionale, IRB, cambia nome, cambia immagine, cambia stile e filosofia. L’annuncio è di questi giorni e forse è stata solo l’ansia degli ultimi Test Match che ha lasciato poco spazio alle necessarie analisi a questa fondamentale trasformazione del nostro rugby. Ci sarà tempo, intanto prendiamo nota che non sarà più IRB, International Rugby Board, sarà World Rugby.

Questa trasformazione riguarda tutti, nessuno escluso, non è solo un brand è molto di più. Il Presidente del rugby mondiale, World Rugby appunto, Bernard LaPasset ha presentato così il cambio epocale:” Negli ultimi quattro anni la partecipazione nel gioco del rugby è cresciuta di più di due milioni, raggiungendo la cifra di 6.6 milioni di giocatori. Questo è dovuto al successo commerciale della Coppa del Mondo di Rugby, alle strategie per lo sviluppo del rugby a livello mondiale, agli investimenti record e alla riammissione del rugby nei Giochi Olimpici” ed ha poi chiosato :” La presentazione di oggi incarna la nostra missione d’intenti, ovvero di far crescere il rugby oltre i confini della nostra ‘famiglia tradizionale’, riflettendo l’evoluzione della federazione che si impegna non solo a regolare ma a ispirare il gioco del rugby.  

Poi la parola è passata a Brett Gosper, Chief Executive della World Rugby, che ha tra l’altro detto:”… il rugby deve continuare ad attrarre non solo coloro che amano lo sport e la sua tradizione, ma anche ispirare e coinvolgere coloro che non hanno nessun legame con il gioco del rugby, in paesi di lingua e cultura differenti”. 

E’ chiaro, il rugby si apre, ogni “famiglia” deve lavorare per se e pensare ad ingrandirsi al suo interno, deve sviluppare il proprio gioco ma anche ispirarlo, coinvolgere gli altri, avere nuovi giocatori ma godersi anche i soli appassionati. Questo ultimo passaggio è e rimane fondamentale nella logica del nuovo “World Rugby” perchè rappresenta la dichiarata, non nuova, strategia di World Rugby. Gosper infatti nella sua presentazione fa anche riferimento al “mercato così incredibilmente competitivo nel settore dello sport e dell’intrattenimento” parla apertamente di “consumo” del rugby quando dice “La nostra nuova immagine distintiva ci dà la possibilità di promuovere le attività rivolte al consumatore in modo che siano più attraenti per il sempre crescente numero di fan“.

Insomma già lo sapevamo, il rugby fa il salto di qualità, adesso non aspetta più, il rugby vuole nuovi giocatori dove il rugby c’è già, vuole nuove Nazioni che comincino a giocare con l’ovale ma soprattutto vuole nuovi fan, nuovi appassionati, gente che prema il bottone sul telecomando dal divano per vedere un match di rugby, gente che vada allo stadio anche senza avere il bimbo che gioca con l’ovale o il fratello, lo zio, il babbo che lo hanno fatto, gente che non sia mai stata ad un Club di Old.

“World Rugby” è il passo in avanti che tutti aspettavano, piaccia o no è ineluttabile, chi non si adegua resta ai margini. I segnali dell’arrivo di questa trasformazione erano evidenti: la nuova Pacific Cup con americani e giapponesi, l’Argentina chiamata a contendere l’ovale nel “The Championship”, ex Tri Nations, le nuove Coppe europee e solo di pochi giorni fa anche l’annuncio che un team giapponese ed uno argentino giocheranno dal 2016 il Super XV.

La cosa di per se in Italia può fare solo paura, il rischio del sorpasso da parte di altre Nazioni, peraltro già in atto, e della caduta nel dimenticatoio ovale di quella che, con l’ingresso nel Sei Nazioni, quindici anni fa fu la scommessa e la speranza del rugby europeo è cosa pesantemente possibile. Prima però di ogni altra considerazione l’Italia ovale una domanda deve farsela: cosa significa per noi “far crescere il rugby oltre i confini della famiglia tradizionale”?

Cosa ne dite allora, cari connazionali ovali, se, guardando a questo nuovo “World Rugby”, cominciamo con dare un bel colpo d’accetta alla nostra conclamata invadente e deleteria “autoreferenzialità”?

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