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AFFARI ESTERI

IL PROFESSIONISMO CHE POTREMMO NON INVIDIARE

Cosa ci fa vedere il rugby europeo dei professionisti? Come stanno lassù in Britannia e quaggiù in Gallia? Quanto oro riluce? Quanto di questo è vile imitazione? Qual’è la condizione della ripartenza del rugby prof?

Troppe domande per dare tutte le risposte adesso ma da tutte queste domande nasce una considerazione che non ci dobbiamo nascondere.

Il rugby dei professionisti è in palese corto circuito. Da un lato la necessità di diffondere notizie positive, sventolare nomi dei grandi campioni, iniziare a fare marketing sulle promessa di grandi “gesta” dei giocatori più in vista. Dall’altro, ad esempio in Inghilterra, il taglio del tetto degli stipendi e le richieste pressanti e conseguenti ai giocatori (almeno il – 25%), quindi la rincorsa contro lo scoperto finanziario di grandi club che, in Francia, diventa per molti pura crisi con…. annesso e connesso l’arrivo nel rugby transalpino dei soldi degli Emiri.

Così da un lato si annuncia che Northhampton ha rinnovato gran parte della rosa (ma come però?) e dall’altra la stampa inglese racconta che giocatori del calibro di Manu Tuilagi, George Ford, Ellis Genge rischiano seriamente di rimanere senza club.

La confusione in effetti è tanta ma tutto questo meccanismo è in moto per un motivo: la riduzione degli stipendi dei giocatori che generano, anche verso i “campioni” di cui sopra, le continue “trattative” economiche a gran ribasso.

Attenzione però, non si tratta di discutere se è giusto in questo difficile periodo diminuire o no lo stipendio dei giocatori ma semmai guardare  l’impazzimento da spremi-limoni che sta alimentando il “professionismo” ovale di certi paesi.

Perchè se da un lato si invoca la “virtuosità” nel diminuire i ricchi salari dei giocatori, dall’altra si studiano calendari fittissimi dove quelli stessi ragazzi dovrebbero giocare, fra club, Nazionale e selezioni prestigiose (vedi i Lions…) praticamente a ciclo continuo. Ti pago meno ma aumenti intensità di presenza, ovvero giochi di più: ma che professionismo è? Dove sta la virtù nello spremere le capacità fisiche di questi sportivi? Perchè va ricordato che sono persone di sport e non giullari da circo.

Insomma risolvere le crisi di un certo rugby professionistico, crisi in realtà già precedente all’emergenza sanitaria, tramutando il proprio sport in una macchina produttiva di match televisionabili per raccogliere finanza da una parte diminuendo il costo del parco giocatori dell’altro non è vero professionismo.

Il professionismo tiene sempre n gran considerazione il suo patrimonio.

Se le cose continuano così a noi italiani, figli del nostro finto dilettantismo, con due soli team prof e neanche tutti ben piantati sulle gambe, forse toccherà presto verificare che da questi geni della lampada anglo-francesi abbiamo qualcosa in meno da imparare di quello che pensavamo.

Chissà, magari, ad avere dirigenti un po’ più visionari a guidarci, con i dovuti tempi potremmo anche creare un modello italiano. Come siamo riusciti a fare per moltissime altre cose che il mondo ci invidia.

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