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QUESTIONE DA PRO

PER LA CRESCITA DEL RUGBY EUROPEO QUESTO (OTTIMO) URC NON E’ ABBASTANZA

Ancora una volta ai Mondiali il mondo europeo è rimasto schiacciato dalla supremazia tecnica (ma non solo) del Sud del mondo. Alcuni tendono a sminuire questa portata di insuccesso del rugby europeo citando moltissime casistiche; poche sono realistiche e la meno di tutte è quella dei gironi che non erano combinati in maniera adeguata. In effetti la composizione dei gironi mondiali era un po’ farlocca, siamo d’accordo, ma è altrettanto vero che coloro che ne hanno veramente beneficiato sono due team europei: Galles ed Inghilterra.

Risulta così abbastanza normale ci si voglia chiedere se le competizioni europee che formano il tasso tecnico dei nostri Team nazionali siano sufficienti ad innalzare quel livello e se riescano davvero ad influire sul grado di preparazione. A guardare i risultati, ma non solo quelli, anche certe partite, il pur bellissimo campionato URC avrebbe giovato solamente ai sudafricani che da qualche tempo vi partecipano con ottimi esiti.

Gallesi, italiani e scozzesi scomparsi presto, pur con diversissimi livelli di “gloria”, dalla competizione RWC23 hanno lasciato a Francia ed Irlanda il ruolo di vittime delle future finaliste.

Il fatto che URC non sia un campionato tecnicamente abbastanza profondo per tenere un certo tasso tecnico lo si sa da tempo. Il Galles non ha più il “fiato” per mantenere quattro franchigie competitive, le italiane continuano ad essere due ma in effetti solo una riesce a preoccupare gli avversari (e nemmeno sempre) e ci riesce soprattutto se fa la “scozzese”, ovvero si riempie di stranieri ed equiparabili, l’Irlanda, che è messa meglio di tutti, comunque da tempo lavora soprattutto con tre franchigie su quattro e della Scozia… si è già detto.

URC ansima, introdurre i sudafricani serviva ad alzare i canoni medi, esperimento riuscito, in effetti è stato così, il risultato però è stato il Sudafrica che vince il Mondiale.

Di fronte a questo non stupiscono i rumors di un Board di URC che si incontra con quello della Premiership inglese e prova a pensare ad una specie di “fusione”, l’idea è accattivante.

La Premiership, infatti, ha provato a fare la “francese” ma la sua stessa serietà ed il suo pragmatismo l’hanno dovuta far ricredere. Tra club cancellati per problemi economici ma anche varie sanzioni e retrocessioni a scopo sanzionatorio si sono così evidenziate le fragilità di un campionato inglese che oggi, nonostante il suo stratosferico numero di tesserati e di tifosi, in un Alto Livello come quello della Premiership non riesce ad avere più di dieci squadre.

Di fronte a queste considerazioni ed a questi scenari un potenziamento di URC è necessario, se questo possa arrivare  attraverso una fusione o una diversa formula di partecipazione questo è da vedere, il tema maggiore rimane però cosa c’è dietro URC.

Su quest’ultimo punto fa tumultuosamente scuola proprio il Sudafrica che manda le franchigie a giocare e fare esperimenti da noi (perché questo fanno) e poi si coltiva una realtà locale di campionati di Alto Livello in grado di fare sviluppo in forma indipendente ma monitorata. I risultati si sono visti.

URC deve crescere, le strade che il suo CEO Martin Anayi percorre per farlo sono buone ed interessanti, ma forse troppo centrate sul vantaggio economico. Così capita che, guardandoci dentro, si noti come, fra le strade seguite ne manchi una che invece è abbastanza percorsa in quel sud del mondo che vince e ci strapazza: non è che URC deve guardare anche dietro di se?

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