La bellissima vittoria della Benetton Treviso contro gli Harlequins forse entrerà nella storia del rugby trevigiano come sigillo di una giornata che ha marcato il passo decisivo: il netto superamento del punto di non ritorno per il rugby della Marca. Tutto quello che si è vissuto lo scorso sabato pomeriggio nel suntuoso Stadio di Monigo è stato bello ed importante come evento, ineccepibile come organizzazione, sportivamente di alto livello, tecnicamente di gran qualità e contemporaneamente è stata una cosa palesemente ed assolutamente avulsa dalla realtà del rugby italiano.
Si potrebbe anche dire, semplicisticamente, che “Treviso è su di un altro pianeta“ e qualcuno potrebbe intendere che di quel pianeta facesse parte anche la nostra Nazionale, ovvero il motivo che ha dato l’opportunità a Treviso di arrivare a quei livelli, ma questo non è vero. Treviso sabato ha superato “la Nazionale” di tre spanne ed ha lanciato segnali chiari a tutto il movimento ed alla FIR. Vediamo cosa è accaduto dentro e fuori quel match per capire perchè Treviso adesso è inarrivabile.
QUASI SEIMILA per vedere il match di Challenge Cup, una porzione di pubblico affezionata e locale ed una gran parte venuta dalle provincie intorno. Ecco il primo segnale, la Benetton Treviso ha radicato se stessa nella regione senza diventarne parte, è rimasta lì chiusa nel suo fortino trevigiano e si è organizzata riuscendo a diventare ugualmente l’elemento centrale, il tratto di distinzione definitivo. La Benetton ha creato quello che tutti in Veneto volevano ma senza dividerlo con nessuno. Forse un gran bene, visto certe diatribe che circolano. Si può dire che Treviso ora possiede un know-how unico nel panorama nazionale.
BIANCOCELESTE sono i colori della maglia che la Benetton ha vestito per la partita con gli Harlequins (e che veste per la Challenge Cup) e sono i colori della città di Treviso e del vecchio club del rugby trevigiano prima che venisse comprato dai Benetton. Questo è ciò che il team ha voluto onorare con quella maglia, una precisa scelta di radicamento. Questo è bello ma è di fatto anche il fallimento definitivo, peraltro visibile da tempo, di quella corsa con la bandiera del Leone di Venezia (simbolo di tutta la regione) che fece Vittorio Munari, allora Direttore Generale della Benetton, sul campo di Monigo in uno dei primi match che questa giocò in Celtic League. Quello era il progetto quando la Benetton Treviso divenne “celtica” ma sabato pomeriggio la Benetton ha praticamente detto che il dado è tratto: il Veneto ha la sua squadra di Alto Livello ma non è del Veneto, è quella di Treviso. Obiettivo comunque raggiunto.
INTERNAZIONALE è la squadra che ha battuto gli Harlequins, 6 fra i primi XV erano i giocatori stranieri quando quelli entrati in campo nel corso del match saranno 22 gli stranieri ad averlo toccato saranno 10. Ma per questa partita con i londinesi nel primo XV biancoceleste ci sono stati anche 9 giocatori che sono titolari della nostra Nazionale a confermare la centralità del progetto Benetton nell’ambito di tutto il movimento italiano di Alto Livello.
BARBINI MAN OF THE MATCH perchè è stato il miglior in campo, in assoluto, senza dubbio. Così sotto gli occhi di tutti e con 9 Nazionali in campo a Treviso si sono tolti pure lo sfizio di dare il titolo come il migliore della partita al reietto di Conor O’Shea, colui che il tecnico irlandese non sceglie mai per la sua rosa, si dice per questioni poco tecniche e molto politiche. Insomma nella vittoria con gli Harlequins Treviso ha avuto la forza di metterci anche lo schiaffo (preferite un più moderato “buffetto”? fate voi, il gesto c’è) all’irlandese capo degli Azzurri.
STADIO NUOVO o meglio rinnovato. Se tabelloni luminosi, tinteggiature, nuove posizioni di certe infrastrutture nei mesi passati ne avevano fatto un posto accogliente adesso con la nuova copertura della tribuna est lo stadio di Monigo è diventato un piccolo gioiellino. Quella copertura è stata inaugurata proprio cinque minuti prima dell’inizio della partita con gli Harlequins, altro segnale importante. Per quella copertura è stato speso oltre un milione e mezzo di euro pagati dalla Benetton stessa e dal Comune di Treviso (cosa forse unica nel panorama del rugby nazionale). Non risultano contributi FIR. Chi fa da se fa per tre ma soprattutto fa.
Si potrebbe andare avanti parecchio a raccontare, si dovrebbe dire di una Benetton che ha sfidato e piegato i londinesi con una tattica di gioco che nulla ha a che vedere con le linee di gioco della Nazionale, si potrebbe raccontare di quella forte unione di squadra che li ha fatti arrivare in campo tutti a testa rasata a sostegno di uno dei propri compagni che si è scoperto solo qualche mese fa colpito da un brutto tumore, si potrebbe raccontare del pubblico competente con ben pochi venuti a vedere il Terzo Tempo e tanto meno a vedere gli avversari (come i match azzurri e/o quello con gli All Blacks) ma venuti a vedere del buon rugby. Poi molto altro ancora ma fermiamoci qui.
Insomma le lotte della Benetton per avere indipendenza di azione dalla FIR hanno sortito un gran bell’effetto. Ora Treviso ha spiccato il volo e lo scorso sabato ha messo un segno dietro di se: indietro non si torna, è impossibile, non avrebbe alcun senso. Treviso resta dove è arrivata, ovunque vada il rugby italiano con le sue prossime prevedibili bufere.
Se i trevigiani non vogliono, ma a questo punto soprattutto non possono, tornare indietro c’è da chiedersi cosa deve fare il rugby italiano perchè è evidente che “il modello” non può essere Treviso, in questo senso il mondo biancoverde/biancoceleste ha ben poca utilità. Questo infatti è il limite del progetto della Benetton: il suo isolamento e la non replicabilità di quanto ha prodotto.
Il “fenomeno” Treviso può essere però un punto di osservazione importante, il rugby italiano dovrebbe guardare da Treviso e non da altri punti per capire, indagare, progettare, scrivere idee. Piaccia o no.