E’ rimbalzata parecchio sui Social in questi ultimi giorni l’idea della ri-appropriazione da parte del mondo del rugby italiano dello Stadio Flaminio come casa del nostro sport a livello nazionale.
E’ noto a tutti, sicuramente per primo a chi ha rilanciato questa cosa, che non è questo il vero problema del nostro mondo ovale in questo momento ma, ad un passo dal Sei Nazioni che riaccende i motori, ed a due o tre dalla scadenza assembleare del nostro movimento sportivo per il rinnovo dei vertici, rimane un tema che scuote e che affascina.
Forse non è lo Stadio in se, con buona pace di Nervi ed eredi, ma sicuramente quello che rappresenta. Il Flaminio è l’ascesa del nostro rugby, è “lui” che ci ha a lungo tenuti insieme e ci ha portato all’Olimpico, impersonale e freddo quanto volete ma molto più grande ed accogliente.
Insomma il Flaminio è il rugby italiano che cresce, niente riuscirà mai a rappresentare tutto ciò meglio di quello Stadio.
Il Flaminio da queste parti ricorda “Il Plebiscito” a Padova, quando venne aperto ci misero fuori una targa “Stadio del Rugby”, oggi quello stadio è solo e mezzo abbandonato, la targa non c’è più da diversi anni.
Qualcuno dice che la situazione “difficile” di entrambi questi stadi è un effetto lampante della Celtic League ed è difficile negarlo così come è difficile non far nascere intorno a questa affermazione una selva di “polemiche” ridondanti di campanile.
In verità i due stadi rappresentano molto bene la mancanza di una “seconda linea”, il nostro rugby ha fatto un salto verso l’alto, con la Nazionale e con le franchigie ma ha lasciato scoperte le retrovie. Il secondo livello del nostro movimento non è mai nato, anzi, per tenere in vita il primo livello, chiamato proprio “Alto”, questo è pure retrocesso di parecchie posizioni e gli stadi che avrebbero dovuto accoglierlo sono morti.
Forse è questo il vero simbolismo del Flaminio, forse per questo meriterebbe di essere ripreso in mano, farlo significa però aver deciso di prendere in mano e far ripartire tutto il rugby italiano e riportarlo all’attività ed al “livello” che davvero merita.