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FIR E DINTORNI

LE REGOLE CAMBIANO… ANCHE NEL SEI NAZIONI

 Vogliamo che il Sei Nazioni vada in giro per l’Italia. Di questo scriviamo oggi.

Partiamo da un punto chiaro: le regole sono fatte per essere cambiate. Lo dico a quelli che , davanti alla proposta di spostare fuori da Roma la  sede di svolgimento di una o più partite in Italia del Sei Nazioni  hanno motivato il loro “no” con regole e regolette del Torneo europeo. E’ un classico della trita conservazione, chi si oppone al cambiamento quasi sempre finge di amare le regole esistenti, in verità punta allo status quo.

Ma il mondo va avanti e si evolve e cresce proprio perché… le regole sono fatte per essere cambiate. L’innovazione è in ogni cosa che abbiamo davanti, se questa mattina siete saliti in auto non era uguale al mitico suo antenato, il “Velociped” del 1886. Per il rugby è la stessa cosa, molti di voi sanno benissimo quanto è cambiato il rugby, senza andare all’Ottocento, anche solo negli ultimi dieci anni.

Per il Sei Nazioni è la stessa cosa.

Pensate a due grandi innovazioni (solo le due più evidenti) che il Sei Nazioni ha fatto partire in forma stabile da quest’anno: i nomi sulle maglie dei giocatori, il fatto sia la squadra ospitata che deve indossare la sua seconda divisa. Con queste due innovazioni, apparentemente innocue e di scarso peso, sono “caduti” due pilastri della tradizione del rugby e soprattutto un grande mantra del fair play anglosassone, proprio quello che da sempre interpreta il Sei Nazioni.

I nomi sulle maglie non sono da tempo una novità in molti campionati nazionali, anche internazionali, ma al Sei Nazioni fino a l’altro ieri…. nisba. Il significato della maglia intonsa dietro le spalle, solo con il numero, era forte: la maglia veniva solo affidata temporaneamente (dal Club o federazione) al giocatore  che raccoglieva il testimone di chi l’aveva onorata in passato, era un sinonimo di umiltà per chi la indossava e di appartenenza al Club o alla tradizione ovale del proprio paese. La narrazione potrebbe continuare, ma il fatto è chiaro: la maglia con solo il numero era un modo di ricordare i Valori del nostro sport. Che non cambiano anche se c’è il nome sulla maglia …. anche se tutto in realtà è fatto perchè poi il merchandising con il nome vende di più.

La questione poi che fino alla scorsa edizione del torneo europeo fosse la squadra di casa ad indossare la seconda divisa se confondibile con quella avversaria era una pietra miliare simbolo del fair-play e del valore del “rispetto dell’avversario” che il rugby da sempre incarna. Valore che vale anche a maglie invertite, ne sono certo, pure su questa cosa però c’è di mezzo il marketing.

Ci sono molte altre regole, anche più importanti, che sono state cambiate nella storia del Sei Nazioni, a partire dal fatto che all’origine era il Quattro Nazioni: meno male che la regola dei partecipanti è cambiata, altrimenti noi staremmo qui a parlare di niente. Adesso però andiamo al sodo.

Quindi il Sei Nazioni si può giocare solo nelle Capitali dei paesi che ne fanno parte?

Abbiamo scritto (leggi cliccando qui) della Francia di quest’anno che, di fronte alla impossibilità di giocare nel solito stadio parigino, si è ben guardata da scegliere altra sede nella Capitale, tanto meno nei dintorni, tanto meno di scegliere una sola sede, ovunque questa fosse, ma ha realizzato una meravigliosa operazione di marketing di prodotto (il rugby) e di promozione (del rugby).  Non era la prima volta che la Francia giocava lontana dal suo Stadio parigino (2021 Clermont Ferrand , 2018 Marsiglia) ma questa volta ha realizzato un progetto da … chapeu.

Logico che di fronte a tanta capacità di organizzazione e con un piano di marketing di quel tipo il Board del Sei Nazioni abbia detto volentieri  un bel “si”  a quel tipo di temporanea sostituzione di St Denis. Il Fondo di Investimento CVC, che detiene una quota del Sei Nazioni, avrà fatto grandi applausi ad una operazione commerciale così estesa e concreta. Perchè la chiave in effetti è questa.

Anche la FIR potrebbe realizzare un piano complesso e concreto di ampliamento commerciale, di marketing, di promozione e di valorizzazione del territorio ovale italiano e presentare un progetto al Board per il “prossimo” Sei Nazioni; un progetto che preveda magari tre tappe, tanto per fare un esempio: Milano, Roma, Napoli. 

Al Board potrebbero dire “no”, ma se non lo presentiamo il “no” ce lo siamo detti da soli. Chissà,  magari al Board potrebbero anche essere contenti di fare questa eccezione, e poi chissà CVC, quanto potrebbe essere contento CVC di una tale “estensione”.

I  problemi per realizzare una cosa così sarebbero molti, a partire dalla disponibilità degli stadi, ma portare il Sei Nazioni in giro per lo stivale è una questione di rilevanza sportiva Nazionale, una cosa anche politica, come le Olimpiadi o i mondiali di qualche disciplina: dire no al rugby sarebbe un grosso problema.

In una recente conferenza la FIR ha raccontato che il Sei Nazioni che si svolge a Roma vale per la città circa 13 milioni di euro a partita. Cibo, pernottamenti e le cento altre esigenze che hanno i circa 10/20.000 tifosi esteri e tutti gli italiani che arrivano alla Capitale da tutto il paese valgono quella cifra ogni volta.

Una enorme ricchezza che non sarebbe sbagliato venisse confusa anche nel resto della penisola. A tutto questo non sarebbe certo il Board del Sei Nazioni ad essere contrario, forse altri, molto italiani, si scoprirebbero paladini delle vecchie  regole del Sei Nazioni.

Invece guarda mo’ che di fronte a questi numeri magari il San Siro ed il San Paolo forse diventerebbero possibili! E chissà quanti altri.

Per fare tutto questo, per scrivere un progetto così, ci vuole una FIR che ama il territorio, che sceglie il rugby per tutti, che pensa alla sua reale promozione, che sogna in grande ed ha una visione. Oggi non è così. L’attuale gestione ha portato invece una concentrazione del grande rugby in poche aree elette. Il contrario di quello che ci si sarebbe aspettato. Però le cose possono cambiare.

Essere “innovatori” è faticoso, chiedere di fare cose che sembrano impossibili al momento in cui vengono pensate è cosa difficilissima. Ma è così che si cambia davvero, questo è il vero cambiamento. Un giorno, tanto tempo fa, qualcuno alla FIR disse: vogliamo entrare nel “Sei” Nazioni. Forse gli risposero che c’erano delle “regole” che…. e oggi quelle regole,  da molto ormai,  sono cambiate.

Non sarà facile ma oggi dobbiamo dire “vogliamo che il Sei Nazioni vada in giro per l’Italia”, e poi ancora spiegare “noi vi diremo come e perchè, voi intanto diteci, solamente, quali regole dobbiamo aiutarvi a cambiare”.

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