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AZZURRI

L’ITALIA CHE RESTA

 

Ecco la Nazionale italiana di rugby, era a Dublino, si è persa nel vuoto dello stadio in un vuoto di talento, giocando un rugby senza punti di incontro, a tratti senza placcaggio, quasi sempre senza avanzamento, scoordinata come fossero ragazzi al primo giorno di scuola, con la mediana lenta e quella inutile.

L’Irlanda ci ha massacrato, ha fatto con noi due cose: quello che voleva ed un ottimo allenamento. Niente di nuovo sotto il sole, nell’Aviva Stadium si è ripetuto un ritornello ormai solito. Questi azzurri non fanno parte di questo livello, complessivamente non hanno skill e talento per affrontare queste competizioni.

Non hanno nemmeno la mentalità. Nei primi minuti gli irlandesi rimangono in quattordici e l’Italia è a dieci metri dalla linea di meta, che fare? Noi scegliamo di usare il piede e prendere i tre punti facili. Pochi minuti dopo l’Irlanda in quattordici con un calcio a favore rinuncerà alla pedata per cercare la meta. La mentalità nasce fuori dal campo e quel gesto azzurro era, già dopo pochi minuti, un segnale chiaro: è finita l’Italia.

Ed è finita l’Italia dei Bergamasco, degli Scannavacca o di Parisse, di Castrogiovanni e De Marigny. Non c’è più l’Italia di Masi, Dellapè e Robertson. Stoica, Canavosio e Perugini. Poi ancora tanti altri, simboli di una Italia pìù orgogliosa e sfidante ma anche decisamente più tecnica e preparata. Ecco quella era “l’Italia s’é desta”.

Ora abbiamo l’Italia dell’Accademia e quei tre punti iniziali, la mentalità con cui sono stati raccolti quei primi tre punti in una partita che nessuno pensava di vincere, sono un simbolo forte e triste. Meglio quei tre punti inutili o una touche sui cinque metri ed un carrettino disperato? Ne prendevamo sempre cinquanta ma vuoi mettere quei due minuti di paura irlandese? Cosa è rugby, cosa è … solo pura “accademia”? Ecco allora  l’Italia che resta dopo la “cura” degli ultimi dieci anni. Sono tre punti, ma non di sutura.

Ripartito il Sei Nazioni, la formula magica del più bel torneo del mondo ha dettato il suo verdetto.

Franco Smith per ora è a zero, si sperava di vedere “qualcosa” di suo in campo, ma niente di niente è poco. Presto anche lui ci dirà, come i suoi predecessori, “faccio il massimo con quello che ho”. Ecco l’Italia che “ci “resta 

Eppure anche questa volta la grancassa mediatica azzurra aveva messo in campo tutte le risorse possibili. C’era il refrain della “giovane Italia”, ma il giovane che ha brillato davvero è stato un certo Keenan, irlandese esordiente pure lui e con due mete, c’era il mammismo per i ragazzi che vengono dall’Under20, ma l’età media degli irlandesi non aveva nulla da invidiare a noi, c’era il solito idolo del momento, incoronato via comunicato stampa con il solito imbarazzante battage pre-partita che stabilisce a priori chi è il campione senza manco farlo prima giocare, quello di oggi era già deciso fosse Paolo Garbisi.

Ecco l’Italia che resta. Una formazione nazionale che è sempre in formazione, una accademia che genera una accademia che vive in costante preparazione per il futuro, un costante ritiro accademico che dura fino a fine carriera. Prima i ragazzi sono davvero in Accademia, poi per farsi esperienza sono in Top10 poi si fanno esperienza in Pro14, poi vanno a fare esperienza al Sei Nazioni.

Insomma i nostri vanno per crescere dove gli altri vanno per misurarsi, giocare e vincere: dal campionato alle competizioni internazionali, il punto d’arrivo per noi non esiste, siamo sempre in formazione. E questi sono i risultati, ma ormai è chiaro a tutti che è solo un giochetto, l’ultimo spicchio di un flop che prima o poi andrà rimosso.

Ecco l’Italia che resta.

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