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FORZA RUGBY

IL DOVERE DEL DIALOGO

Riccardo Roman Presidente di “Pronti al Cambiamento”

Riccardo Roman ha scritto una lettera aperta a tutte le Società di rugby in vista delle prossime elezioni federali. I contenuti rappresentano certamente alcuni mantra del gruppo “Pronti al Cambiamento” (PALC) di cui lui è il Presidente ma vi sono ampie porzioni di questo intervento che vanno ben oltre il “politichese” e che sono condivise da “Il Nero Il Rugby”. Fra queste il richiamo ad un cambiamento il più condiviso possibile ed infine il dialogo, quello che qui “Il Nero Il Rugby”  ha voluto titolare “il dovere del dialogo”, una necessità. Ottima deduzione Riccardo.!  Per questo l’intero intervento di Roman viene qui di seguito pubblicato e si invita tutti a provare a leggerlo solo per amore del rugby.  (Stefano Franceschi)

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Questa è una riflessione non imparziale, lo premetto, ma è il frutto di un sincero desiderio di condividere alcune considerazioni… … Il quadro uscito dalla presentazione delle candidature è emblematico.

Sei candidature alla Presidenza, di cui una cassata dalla commissione, quella di Elio De Anna (al quale faccio di cuore i migliori auguri per il buon esito del suo ricorso), danno il senso di un movimento frammentato ed in fortissima fibrillazione. E’ il frutto di quattro/otto anni davvero difficili, di errori, di presunzioni, sui quali è calata l’ulteriore mannaia di una pandemia che rende concreta la preoccupazione per il futuro di moltissime società.

Ed è il sintomo chiarissimo di una rete di rapporti sfaldatasi intorno al presidente uscente, che con caparbietà, contro tutto e contro tutti, si ricandida, rifiutando l’onore delle armi e negando, a se stesso prima di tutto, la realtà di un movimento che gli ha voltato le spalle.

La maggioranza non esiste più, è evaporata e non si ricomporrà, troppe le acredini profonde, emerse anche da un esordio davvero triste di questa campagna, in cui gli attacchi personali hanno oscurato i programmi elettorali. Ciò non è ammissibile, perché se sicuramente è opportuno, anzi doveroso, che i titolari di incarichi di vertice in FIR tengano ben distinta e separata la propria attività professionale dal ruolo istituzionale, allo stesso modo è necessario che una campagna elettorale si mantenga su toni di civiltà e rispetto reciproco.

Ma nemmeno l’opposizione ha saputo in questi anni costruire una sintesi unitaria, superare i personalismi, e proporre un unico progetto di reale cambiamento.

Anche le candidature dei consiglieri ci parlano di frammentazione.

Nonostante sei candidati  presidenti c’è chi non ha trovato modo di sentirsi rappresentato e si è presentato autonomamente.

Ho grande rispetto per chiunque ci metta la faccia, ma, fatta tara di chi è autonomo di nome e schierato di fatto, ritengo che questa scelta sia frutto di una visione un po’ superficiale del rugby italiano e di ciò che serve per risollevarne le sorti. Le emergenze sono tali e tante che solo una squadra coordinata, rappresentativa, amalgamata può tentare di affrontarle ed iniziare il lunghissimo percorso che porterà a risolverle.

Le rappresentanze di interessi parziali, difficili anche da decifrare (in alcuni casi non sono nemmeno geografici), non possono essere una risposta adeguata, moderna, organizzata e professionale alle sfide che abbiamo di fronte, così come non lo è immaginare un nuovo padre padrone alla guida della FIR.

Di fronte a tale e tanta frammentazione, non si tratta più di ragionare in termini di maggioranza e di opposizione, il paradigma è cambiato e per tutti i candidati si presenta inevitabile l’onere di cercare e trovare un nuovo modello, una nuova sintesi, che sappia riunificare questo movimento sfaldato, che recuperi tutto il buono, tanto o poco, che c’è, e sappia, al contempo, introdurre un profondo, storico cambiamento, ai riti ed ai contenuti di questa federazione.

Lo dico chiaro, se si arriva con sei candidati alle elezioni una vera svolta positiva sarà quasi sicuramente impossibile.

Chiunque governi sarà fortemente minoritario nel movimento, probabilmente lo sarà anche in consiglio federale, e se c’è una cosa di cui davvero non abbiamo bisogno è di una gestione debole che traccheggi per quattro anni in uno scenario di guerra tra bande.

Il dialogo non è solo un opzione, è un obbligo morale, se si ha veramente a cuore il futuro di questo movimento.

Credo che questo mese sarà molto lungo, e mi auguro che il 13 marzo sia una festa di tutti, in cui celebreremo l’uscita del nostro rugby da una fase oscura, forti di una classe dirigente responsabile, che sa fare squadra, che sa ammettere i proprio errori ed imparare da essi, che sa dialogare e costruire per il bene del nostro sport.

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