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TERRITORIO E BACINO DI UTENZA. PARLANO GAVAZZI E DALAI

Brillano due interviste sulla stampa di questi giorni, diammetralmente opposte per provenienza ovale, l’una però legata all’altra. Involontariamente.

La prima è quella del “Giornale di Brescia” a firma Gianluca Barca realizzata al nuovo Amministratore Delegato del Rugby Calvisano Alfredo Gavazzi (proprio lui) che ha parlato di presente e futuro della sua Società (dopo che Gavazzi ha negato per anni ogni accostamento con il team giallonero ora scriverlo fa tenerezza).

Il Dirigente giallonero rilancia in forma senz’altro interessante la questione della “territorialità”, del “bacino di utenza” e delle “risorse” per il suo Calvisano. Come coniugare le tre cose?

Dice Gavazzi :” Calvisano è un paese piccolo, il bacino in cui pesca atleti e risorse è limitato. Tuttavia qui abbiamo una storia, una tradizione, delle competenze e strutture di primissimo piano… “. Insomma il primo tifoso giallonero non ci sta all’idea il rugby si possa sradicare da certe aree solo perchè non abbastanza ricche, numerose e zeppe di comignoli (caspita, da queste parti si è molto d’accordo con lui! Evviva).

Ma se ci si ferma a quel punto il problema rimane ed allora Gavazzi aggiunge:” Calvisano potrebbe diventare quello che Appiano Gentile è per l’Inter… Un posto dove lavorare e far crescere i giocatori, in chiave locale e nazionale. Poi non è obbligatorio che una squadra con certe ambizioni giochi qui. Sono consapevole che la città può avere più appeal, per il pubblico, per gli sponsor. Possiamo trovare varie soluzioni”. 

L’idea potrà non essere nuova ma è decisamente stimolante, soprattutto per l’equilibrio con la quale “risolve” la questione del legame fra territorio e sport, ma anche fra ambizione e necessità di risorse. Il territorio è importante e va rispettato, il rugby cresca ovunque si ami il rugby ma non rinunci a seguire la via delle risorse economiche e di nuove aree di interesse.

Rispettare il territorio significa però anche farne parte sul serio,  ecco allora che casca a puntino, nello stesso giorno, l’intervista di Vittorio Rotolo sulla “Gazzetta di Parma” al nuovo Presidente delle Zebre Michele Dalai

Michele Dalai riassume il profondo distacco delle Zebre dal territorio:“…le Zebre sono state percepite come una specie di astronave aliena che all’improvviso è atterrata a Moletolo“, dopo essersi assunto a nome di tutta la Dirigenza di Zebre e FIR la responsabilità di questo gran brutto viatico conferma che le Zebre sono percepite a Parma come “…un’altra squadra del territorio, in aggiunta a quelle storiche: sulla base di presupposti orientati alla rivalità…” ed alla fine a Dalai tocca auspicare si possa un giorno :“..abbracciare una prospettiva diversa, iniziando a considerare le Zebre Parma come una piccola “nazionale” locale, con cui collaborare e da cui le altre società possono trarre beneficio”. 

Le Zebre esistono e giocano ad Alto Livello a Parma dal 2012 ma sono evidentemente ancora in giro ad elemosinare “territorio”, perchè il loro radicamento di fatto non esiste, nemmeno l’origine del nome è della città ducale e non basta giocare in un posto per farne parte.

Per questo Dalai, come gesto estremo, l’ultima spiaggia, quest’anno ha cambiato nome al team che ora si chiama “Zebre Parma”, tradendo anni di prosopopea precedente che puntava sulle Zebre di tutto il Nord-Ovest. Inoltre nell’ultimo match le Zebre hanno vestito addirittura la maglia gialloblù, tradizionali colori sportivi della città parmigiana, dice Dalai:Il nome di Parma lo portiamo in giro per il mondo con orgoglio. Vogliamo legarci a questa comunità in senso ampio, nel bene, e non soltanto nelle richieste di un sostegno dal punto di vista economico e morale….“. Mah. Tocca crederci così, di punto in bianco?

Gavazzi che racconta di come un territorio senza particolari risorse potrebbe drenarne spostando solo il top della propria attività.

Dalai invece che,  dopo aver visto la sua franchigia federale diventare talmente anonima e senza riferimenti dal punto di vista identitario e territoriale da assumere il nome di “multicolor”, bacia per le Zebre il nuovo “sacro” suolo parmigiano.

Due scenari che devono far riflettere: il rugby ha bisogno di respirare aria di rugby, il territorio conta.

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