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FORMAZIONE

PERCHE’ ANDARE ALLO STADIO A VEDERE IL RUGBY? (Prima Puntata)

Ricordo con una certa “tenerezza” l’affermazione fatta diversi anni fa da un Presidente di Club del massimo campionato italiano che, di fronte alla diretta Tv della partita dalla sua prima squadra, diceva Così non verrà nessuno allo stadio“.

E’ chiaro che, per molti motivi che non si ripetono qui adesso, questa affermazione era “scomposta” e che non aveva un peso effettivo, ma ha comunque riproposto seriamente un dibattito che si era perso nel rugby italiano di Top10: perchè andare allo stadio a vedere il rugby?

Non potendo e non volendo scrivere su questo argomento un “trattato”,  prima di tutto per una questione di sbadigli, ci si sofferma su un raffronto oggettivo anche se forse semplificato.

Si è sottolineato poche righe sopra che questo dibattito si è perso “nel Top10”, perchè nelle categorie inferiori (serie A e Serie B in primis) anche se ne hanno decisamente meno bisogno, la motivazione è ancora chiara e forte. Se volete quest’ultima è spesso semplice e ridotta nei termini, ma riconduce apertamente al rugby della Clubhouse, allo spirito di maglia ed alla semplice ma mai semplicistica affermazione della propria passione con il proprio club. Questo tipo di rugby riesce ad avere sugli  spalti anche molte centinaia di persone, a volte numeri davvero impressionanti, è la affermazione del nostro sport che si realizza sul modello di cui sopra ed è spesso un vero successo perchè quei match sono, per chi li frequenta, puro divertimento prima, durante e dopo.

Ma è quando bisogna fare il salto di qualità in termini di “numeri”, quindi bisogna alzare/cambiare le motivazioni ed uscire dalla filosofia della “ristretta cerchia”, quando l’aspettativa cresce, quando si devono anche intercettare spettatori più tiepidi, semplici appassionati, sportivi prima che rugbisti, qui nasce il problema: questo dovrebbe essere tipicamente il mondo del Top10.

Qualcuno potrà dire che la stessa Benetton ha i suoi problemi. E’ vero che nonostante la qualità altissima della propria proposta tecnica, una hospitality bella e coinvolgente, il radicamento in un territorio dove il rugby ha da decenni superato il calcio, il Treviso ottiene un numero di spettatori “conforme” all’offerta solo in casi davvero eccezionali. A metà di questa stagione infatti ci sono stati gli appelli della dirigenza biancoverde per portare la gente allo stadio mentre sono di questi giorni i primi veri record di affluenza. Accade grazie ai successi in coppa e si spera che questo fattore consolidi il trend.

Però non è stato facile per Treviso e la Benetton ha investito molto  in comunicazione ed altre opzioni di sviluppo, spesso direttamente sul suo “brand” di team sportivo.

I club di Top10, lì sta la vera crisi,  invece hanno una offerta/proposta, metodo/motivazione che non si distanzia da quella della Serie A (o Serie B), quando non è inferiore. Comunque non c’è alcun distacco. Tutto è molto simile nel portare la gente a vedere la partita  in Top10 e Serie A,  simile o uguale lo spirito e tipologia di condivisione, ogni riferimento al fatto di essere in una categoria superiore, nel Top10, è quasi invisibile.

Ecco un esempio limite: nemmeno nei mitici Derby d’Italia in questo senso c’è un vero stacco dalle categorie inferiori ed un reale tentativo di avvicinamento alla superiore (Benetton). Un banale e non esaustivo esempio è una idea bella e di gran significato: la “Adige Cup”.   Negli infuocati match ufficiali fra Petrarca e Rovigo è ogni volta in palio la “Adige Cup”. La cosa, se comunicata, alzerebbe motivazioni e possibilità di sviluppo marketing del match e dei due club, creerebbe un divario dal “livello” inferiore ed addirittura anche dagli altri match della stessa categoria. Nessuna delle due Società prende davvero in considerazione questa cosa e quella coppa, dopo la partita, il più delle volte, viene mestamente scambiata senza il pathos che merita.

Quindi perchè non va allo stadio la gente in Top10? Anche perchè manca totalmente un elemento differenziante dal resto del rugby italiano, manca la sensazione di andare sullo scalino superiore. Non è il livello tecnico del gioco che da solo può creare quello scalino. Chiedetelo alla Benetton.

La strada per portare la gente allo stadio in Top10 è lunga ma non è vero che dipende solo dal tasso tecnico che si vede in campo. Questa idea ci sia un pubblico “esigente” che non va a vedere il Top10 perchè non all’altezza del proprio gusto tecnico è una esagerazione tipica di certi stretti ambienti autoreferenziali del rugby.  Altrimenti quel pubblico, tutto quel palato fine e delicato, dove è? Non è sulle tribune di Padova o Viadana, di Colorno o Reggio Emilia, di Calvisano o Mogliano, ma allora dove è? A Treviso no di sicuro e nemmeno a Parma, lo dicono i numeri (anche se forse per capirlo basta andarci ).

Portare qualcuno a vedere rugby, specialmente in certe regioni,  non è poi davvero difficile, esiste una generale positiva reazione al nostro sport. Per far tornare quel qualcuno, fargli abbracciare la “bandiera”, farlo diventare testimonial nel suo ambiente, questa è la vera sfida, raramente però  viene presa davvero in considerazione.

Il Top10, tutto il rugby italiano. ha poi un concorrente micidiale: la Nazionale. Lo spettatore che segue la Nazionale vive un mondo che, fuori dall’Olimpico, di fatto non esiste e questo non gli viene detto: anzi gli viene detto al contrario che è l’unico mondo, che il rugby è  quello e solo quello.

Insomma caro il nostro Presidente di cui sopra, se la gente non è venuta allo stadio il problema non è la TV o lo streaming, questi semmai sono in grado di amplificare un successo di presenza sugli spalti (ma anche il contrario). E’ il Top10 che deve darsi una sua specifica e nuova Identità, una generale nuova impostazione in campo e fuori.

Quindiiii…no dai….  questo lo vediamo la prossima puntata….

 

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