Ognuno ha i suoi problemi e quelli della Federazione mondiale del rugby (World Rugby) non sono minori di quelli della nostra piccola Federazione locale italica. E’ partita l’edizione francese della RWC ed una delle cose che immediatamente si sono dovute notare (in verità la aspettavamo al varco) è relativa ai troppi livelli di qualità e di presenza tecnica visti nei primi match. Va detto, i divari fra questi diversi (troppi) “valori” che sono scesi in campo, rispetto alle edizioni precedenti dei Mondiali, si sono vistosamente allargati.
Ci possiamo raccontare dell’Irlanda che ne rifila 82 alla Romania, della nostra Italia che ne piazza 52 alla Namibia, addirittura il Giappone, mica gli All Blacks, che ne rifila 42 al Cile con tanti saluti. Da questo punto di vista poi il bello deve ancora venire perché aspettiamo ancora, ahimè, molti match da pallottoliere carico, specialmente nel prossimo fine settimana.
Il rugby mondiale sarebbe diviso, per classificazione tecnica e di sviluppo della singola Nation, in Tier, il numero uno, il due e via così. La realtà è che già il primo livello, Tier 1, ne contiene forse due, sappiamo tutti infatti le importanti differenze tecniche, sulle stesse Nazionali ed anche sui campionati interni, sul rugby di base, sulle disponibilità economiche, che esistono già nel Sei Nazioni e nel The Championship. Beh, non è niente se si paragonano fra loro molte delle Nations del Tier 2 dove la forbice si allarga ancora di più.
Però ai Mondiali ci arrivano insieme, uno, due e con loro anche alcune vittime sacrificali (o “vanto dell’Imperatore”, mettetela come volete voi) del “terzo” livello.
Il primo dato che emerge da questa RWC è quindi che, nel mondo, in questo momento, non sono più di cinque o sei le Nations che possono, giocando fra loro, competere veramente sul match (i nomi li sapete eccome) . Dietro di loro altre cinque o sei squadre che provano a dare fastidio e vanno in cerca del colpaccio anche se alcune volte puntano solo a perdere bene. Questo è lo scenario salvo qualche sporadica puntura come quell’incredibile giornata del 2015 a Brighton quando il Giappone fece la storia battendo il Sudafrica e quattro anni dopo, sempre il Giappone, nel suo Mondiale, quando “regolò” Irlanda e Scozia.
Così, in realtà, noi guardiamo questa RWC francese, per ora, aspettando i grandi match fra le solite, meglio ancora nella prossima fase, oppure sognando un “Giappone”... eh già ci sarà un Giappone quest’anno? E se “si” chi può essere?
Noi italiani speriamo di essere appunto quel tipo di sorpresa, stiamo aspettando di vedere se avremo quel ruolo, magari fare fuori la Francia o la Nuova Zelanda per diventare il perno delle prossime discussioni fra gli opinionisti ovali nel mondo. Mah chissà ! Sperare è gratis. Banzai.
Intanto però dobbiamo prendere atto del parziale fallimento della gestione di World Rugby, incapace di ricavare nell’ultimo decennio una vera nuova “grande” Nation da aggiungere al tavolo delle “super”.
La Federazione internazionale è concentrata sulla diffusione mediatica e sul grado di popolarità del nostro gioco, tanto da cambiare anche delle regole per renderlo più appetibile, e sulla sua capacità di attrarre capitali. Quest’ultima cosa poi esercitata, a volte, per salvare certe Nation di alto/altissimo livello dal black out da scarsa finanza.
Insomma il rugby mondiale è più ricco ma non si diffonde davvero, comunque non cresce tecnicamente tanto da rendere la fase a gironi di un Mondiale, come quello attuale, una vera incognita.
Oggi al Mondiale francese ci sono 20 squadre e abbiamo circa 6 “super“ (Francia, Nuova Zelanda, Irlanda, Sudafrica, Australia ed Inghilterra), 6 che “ci provano“ (Italia, Scozia, Galles, Fiji, Argentina, Giappone), 3 “belle speranze” (Tonga, Georgia, Samoa) e 5 della serie “che bello essere qui” (Namibia, Uruguay, Romania, Portogallo, Cile). Con un panel del genere contate quante partite della fase a gironi sono davvero interessanti… ahi ahi ahi.
Detto questo immaginatevi cosa si può pensare dell’idea di World Rugby di portare a 24 il numero di squadre che partecipino al prossimo Mondiale, anche perchè quelle quattro in più si andrebbero ad aggiungere alla “coda”, aumentando il numero di match di basso impatto e rendendone alcuni quasi “parrocchiali”.
Allora perchè quattro in più? Le motivazioni sono tutte “giuste”, al prossimo Mondiale in 24 squadre ci sarebbero più partite, quindi più incassi, più parti del mondo incluse nella manifestazione e quindi più “propaganda” per il nostro sport e poi più incassi di diritti televisivi, un maggior numero di giocatori, arbitri, persone di staff, dirigenti coinvolti nell’evento e quindi più voci nel mondo che parlano di rugby, di conseguenza più sponsor (più incassi).
Ma il dubbio da queste parti rimane. Siamo certi che la crescita del rugby si misuri con il numero di dopolavoristi che vengono mandati ai prossimi Mondiali?
La realtà è che il nostro sport non sta crescendo anzi, si sta polarizzando sempre di più e perde sempre di più di omogeneità, perchè nel pur ricco campionato giapponese o in quello altrettanto ben finanziato americano non si gioca lo stesso rugby che in Francia. Nemmeno URC, campionato a sua volta disomogeneo, ha a che fare con la Premiership o il Top14.
Comunque, detto questo, rincuorati i dirigenti italici, che sono spesso messi sulla gogna come fossero l’unico problema del rugby nel mondo (lo sono sicuramente per l’Italia, ma questo è un altro discorso), adesso divertiamoci con RWC 2023 perchè, anche se ci sono troppi livelli e troppi “stili” di gioco, alla fine è sempre il nostro meraviglioso sport: il più bello del mondo.