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IL SIGNIFICATO DELLA PAROLA “QUALITA’ ” PER IL TOP10

Il Top10 deve crescere, questo è chiaro, è una cosa che ormai si legge in quasi tutti gli atti federali, sia quelli  che già includono il nostro massimo campionato ma, soprattutto, in quelli che fino a pochi mesi fa non prendevano nemmeno in considerazione l’esistenza del Top10 ed in genere dei campionati italiani.

Ci sono tanti modi di pensare alla crescita,  la parola chiave che la FIR pare abbia accostato al Top10 per puntare alla crescita è: qualità.

Il termine “qualità” si presta a molti utilizzi e molte diverse interpretazioni; vogliamo però abbandonare quelle più scolastiche e soprattutto quelle “soggettive”, ovvero quelle dove ognuno ha il suo personale metro di misura. Per ragionare di qualità e rugby italiano di vertice  vogliamo isolare una definizione ricavata dalle pubblicazioni dell’Organizzazione internazionale per la Normazione (ISO) dove la qualità è descritta come: grado con cui un insieme di caratteristiche intrinseche soddisfano i requisiti.

Quindi la qualità di cui si parla qui non sono i Lions o i francesi del La Rochelle, la Rainbow o la Currie Cup, i neozelandesi o i giapponesi, gli azzurri grandi o quelli più giovani, i professionisti o i dilettanti, ma la necessaria definizione di una serie di requisiti su cui puntare.

Detto questo ci si augura che questo Consiglio Federale stia elaborando un piano per il Top10 che parta dai requisiti finali e non dalle caratteristiche.

Insomma il metodo dovrebbe partire dall’elencare, ad esempio,  i requisiti di partenza per il gioco (ad esempio: non è la stessa cosa guardare in tendenza al livello del trascorso Pro14 piuttosto che al Top14, ecc ecc), la capienza stadi ed i servizi presenti al loro interno, la sicurezza medica o la gestione delle vendite dei biglietti, la fruibilità televisiva e la presenza social. Si può partire con una manciata di requisiti e poi arricchirli con il tempo e nel tempo si può gradatamente (il “grado” della definizione di cui sopra) alzare l’asticella di ogni parametro. Questo è puntare alla qualità.

Si può dire che va in questa direzione proprio la recente Circolare FIR che porta a quattro il numero di stranieri  in campo, ci va anche la proposta di questo spazio web di avere il TMO in tutti i match del Top10 del prossimo anno. Certo uno dei punti drammatici, in termini di qualità, è senz’altro il settore arbitrale, qui siamo molto distanti da requisiti minimi di qualsiasi tipo. Su questo la nuova gestione FIR dovrà forse fare gli straordinari.

Puntare alla qualità per il nostro rugby e per il Top10 perciò non significa scimmiottare i pochi ricchi campionati del mondo,  dovremo infatti evitare le  analisi di tipo personalistico-esperenziale e vivere l’ambizione di superare ogni anno quell’asticella che si diceva. Anche per questo ci vorrà il suo tempo. Quello perso però è dietro di noi, non davanti.

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