Nelle recenti Autumn Series anche la nostra Nazionale, ha cominciato la Scozia e poi l’Inghilterra, ha esibito i cognomi sulle maglie dei propri giocatori. E’ stato così che la maglia n° 1 era magari marcata Fischetti, la 15 Capuozzo e via così fino alla panchina.
Hanno voluto farci sapere perchè c’era questa novità e sono venute fuori un sacco di cose buone, ci è stato detto che questo tipo di maglia avvicina ed allarga la “fan base”, che rende più popolare il giocatore e quindi crea clamore ed emozione sportiva nei tifosi, motiva l’appartenenza al club.
I cultori di questa nuova pratica che, c’è da giurarci, comprenderà tutti i team ai prossimi Mondiali di Francia, hanno spesso omesso di raccontarci l’unico vero motivo, il più grande, che è commerciale: mettere il cognome sulle maglie aumenta gli introiti economici, garantisce un ricambio ed aumento costante nelle vendite del merchandising, aiuta la spettacolarizzazione del match.
Niente di male se le Società sportive o le Federazioni vogliono fare soldi, pare normale ed anche giusto.
Non si sono però sentiti alti e forti gli “altri” risultati di questa scelta assolutamente “calcistica” che sono riassumibili sul perchè fino ad oggi non era stata fatta. Perchè se è normale e giusto quanto sopra è altrettanto normale e giusto sapere cosa abbiamo lasciato dietro di noi in cambio del nuovo fatturato.
Nel mondo del calcio italiano pare che la prima volta che si è visto l’inserimento del cognome del giocatore sulle maglie sia stato già nel 1980, fu il Milan del Presidente Colombo che introdusse questa modifica su maglie numerate da 1 a 11. La cosa non portò fortuna, quello fu il Milan che poi finì in B per il calcioscommesse e truffe varie e la cosa delle maglie scomparve. Il calcio ha introdotto davvero però questa cosa nel 1994 ai Mondiali negli USA e la Federazione italiana nella stagione 95/96 ha permesso ufficialmente questa novità.
Perchè il rugby non ha mai aderito a questa cosa? Dal 1994 ad oggi il rugby ha avuto parecchie occasioni per farlo ed, essendo il nostro sport diventato professionistico proprio nel 1995, poteva accadere da quel giorno molte volte ma ….. fino ad oggi di nomi sulle maglie…nisba. Perchè?
Perchè la maglia, nel mondo del rugby, non è del giocatore, è del club che la consegna al giocatore per rappresentarla al massimo, da qui il rito in spogliatoio della consegna della maglia. Il giocatore passa il club rimane. Per chi la indossa è un onore avere la maglia che gli è stata data e non, come capita oggi nel calcio, che chi la indossa onora la maglia del club con la sua presenza. Quest’ultimo è il prodotto del “divismo” del giocatore creato anche attraverso il nome sulla maglia. Il divin giocatore supera il club.
Inoltre per il rugby rifuggire ogni individualismo a favore del gruppo, della squadra, del sistema-collettivo è sempre stato un mantra; è uno sport che si gioca in quindici a tal punto che la stessa attribuzione della meta è data molto spesso al suo finalizzatore più per convenzione che per convinzione. No alla personalizzazione del gioco, no alla centralità del singolo, si al team ed alla solidarietà del gruppo che si esprime attraverso un’altra parola magica: il sostegno.
E’ chiaro quindi che, per il rugby, non inserire il nome sulle maglie è stato fino ad oggi un modo per affermare i propri valori e la propria condotta in campo e fuori. Per questo dal ’95 ad oggi nessuno aveva voluto optare per questa scelta.
Ma il rugby sta facendo salti pindarici, in tutte le direzioni, anche quello che un tempo erano almeno “inopportune”; inutile star qui a raccontare ancora una volta che la questione economica è la motivazione di moltissime scelte fatte nell’ultimo decennio. Anche di questa.
Teniamoci in silenzio il nome sulle maglie, anche per non far la figura dei passatisti, per il resto “chi vivrà vedrà”. La cosa più brutta è che fra un messaggio idolatrante su Itoje o su Savea ed uno su Angie o su Ruzza, non ci sia stato nemmeno un dibattito, qui in Italia, sulla opportunità di mettere i cognomi dei giocatori sulle maglie.
E’ sembrata una scelta fatta per emulazione o induzione, senza tanti pensieri, analisi, una cosa alla carlona, insomma fatta così, anzi… alla “così fan tutte”.